Dario Amadei e Elena Sbaraglia a quattro mani per “Nati per raccontare”
L’avvento dell’era informatica, secondo ogni previsione, comporterà la scomparsa del libro, o quanto meno del suo formato cartaceo. I nuovi libri si leggeranno comodamente sullo schermo del tablet o del computer, liberando tra l’altro una enorme quantità di spazio nelle case, e sollevando nel contempo i traslocatori dall’incubo rappresentato dai libri e dalle librerie, oggetti pesanti e difficili da spostare. Questo scenario, ormai non più avveniristico, ha fin dall’inizio provocato una reazione da parte degli estimatori del libro tradizionale, tra i quali oggi possiamo annoverare due difensori agguerriti della sua insostituibilità, Dario Amadei e Elena Sbaraglia, che insieme hanno scritto “Nati per raccontare. Dalla narrazione creativa alla biblioterapia” (Castelvecchi, Roma 2020, pp. 109, euro 14, 50).
Amadei e Sbaraglia usano svariati argomenti in difesa del libro, ma uno dei più interessanti riguarda il valore pedagogico della lettura. In primo luogo, infatti, la lettura di un libro richiede tempo, e va in controtendenza rispetto alla moderna accelerazione del ritmo vitale, permettendoci finalmente di frenare e ripiegare su noi stessi. In secondo luogo – questo vale specialmente per il romanzo e la narrativa in genere – essa stimola e fa rinascere la voglia di raccontare, che fa parte da sempre della nostra natura. E qui gli autori aprono una lunga parentesi sulla tecnica del racconto, la struttura narrativa. Dopo Croce, la dottrina delle strutture compositive e dei generi letterari era caduta in disgrazia, e tutta l’attenzione del critico doveva convergere sul «momento lirico» tendenzialmente presente in ogni opera. Tornando a privilegiare il primo aspetto, Amadei e Sbaraglia si riallacciano alle poetiche classiche e più in generale alla retorica antica. Esistono, di fatto, tecniche narrative che si possono insegnare e apprendere, e che spesso- come il montaggio in un film – costituiscono parte non secondaria del successo di un’opera. Manzoni considerava Walter Scott il suo maestro, e si riferiva proprio alla struttura compositiva del romanzo storico. La tragedia antica o i drammi di Shakespeare devono la loro forza agli elementi strutturali, e infatti non perdono nulla anche se recitati male. Lo stesso vale per l’incredibile meccanismo teatrale delle commedie di Goldoni. Un terzo aspetto che rende indispensabile la lettura di un libro è la stimolazione, che ne consegue, della capacità creativa. Raccontare significa infatti selezionare, dalla miriade di eventi che accompagnano ogni giorno la nostra vita, una catena di fatti collegati l’uno all’altro, in modo tale da formare una sequenza coerente. Nel raccontare la nostra mente riformula gli eventi trascorsi secondo un rapporto temporale di natura causale, e nello stesso momento in cui fa questo interpreta e riscrive la realtà esperita. Ma tutte queste facoltà o capacità – ecco il punto su cui insistono i due autori – vanno stimolate e arricchite, e solo la lettura di un libro in cui esse sono state riversate le fa emergere di nuovo e permette di studiarle e imitarle.
Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, perché la lettura del libro sullo schermo del computer o del tablet non potrebbe dare risultati analoghi. In realtà le pagine del libro, quando appaiono su uno schermo, diventano immagini come tutte le altre, trasformando il lettore in uno spettatore passivo. I neuroscienziati, soprattutto in paesi ad alta tecnologia come gli Stati Uniti, hanno rilevato da tempo che la diffusione della lettura digitale ostacola una lettura profonda, critica e analitica, diminuendo notevolmente le capacità di osservazione e di concentrazione. Gli stessi scienziati, inversamente, hanno messo in luce gli effetti benefici sull’attività neuronale della lettura tradizionale. Ciò vale in particolare per i più giovani, che non dovrebbero mai avere il primo impatto con la lettura attraverso dispositivi elettronici. Alle scoperte delle neuroscienze Amadei e Sbaraglia hanno dedicato, molto opportunamente, un intero capitolo del libro. Anche per questo, “Nati per raccontare” si conferma un prezioso contributo a una nuova “biblioterapia”, quanto mai necessaria, oggi, presso i più giovani.
Luciano Albanese