“Vivo nel forse”, una selezione poetica di Emmy Hennings
Poco nota in Italia, Emmy Hennings è un’artista marginale, “d’avanguardia, innovativa e per certi versi stravagante” – come scrive Daniela Padularosa nella Prefazione – che riflette a pieno la corrente culturale del primo Novecento. Viaggia molto, soprattutto in Europa, alla ricerca del suo posto e di nuovi stimoli per aggrapparsi alla vita, vita che la segnerà duramente con la morte di un figlio al primo anno di vita, una tragedia che le porterà verso le dipendenze ma anche a conoscere il teatro, che la condurrà verso nuove strade e verso una nuova famiglia, una nuova vita. La difficoltà di essere donna e madre, di voler lavorare a tutti i costi adeguandosi ad ogni situazione, la porteranno a scontrarsi con la società del tempo e al continuo tentativo di emancipazione.
“Vivo nel – forse.
Sono la grande domanda.
E sia tutto solo leggenda,
fin dove arriva il pensiero.”
“Vivo nel forse. Poesie e testi in prosa 1912-1918” (Castelvecchi, pp. 116, euro 14.50) è una selezione di testi giovanili della Hennings, scritti appunto tra il 1912 e il 1918 durante il periodo espressionista e dadaista. Sono poesie che racchiudono provocazione e contraddizione, una sorta di monologo interiore che tocca registri e generi letterari differenti, mentre le prose brevi descrivono la vita del Cabaret Voltaire, dove sarà “modella, cabarettista, soubrette, cantante e attrice”, come racconta nella Postfazione Lorella Bosco.
“I costumi delle soubrette risplendono di rosso, giallo e verde. Si posso no ammirare tante gambe in calzamaglia. Cantano canzoni militari e gambe tese volteggiano in aria. I tacchi calcano con vigore la piccola scena.”
Marianna Zito