“Virità, femminile singolare-plurale”, le potenti voci delle donne della Sicilia – Intervista a Giusy Sciacca
“Isola e mondo. Ammaliatrice e tentatrice. Sedotta e abbandonata. Devota e meretrice per genetica. Scaltra e ingenua. Riservata e spudorata. Mito e storia, pagana e santa.”
L’isola del Sole, la Sicilia, una terra intrisa di femminilità e di donne che hanno lasciato il segno, anche se non si tratta di nomi conosciuti. Proprio per questo, per dare voce a queste donne siciliane Giusy Sciacca ha percorso duemila anni di storia fino agli inizi del Novecento e le ha portate alla ribalta con il libro “Virità, femminile singolare-plurale” (Kalós, 2021, pp. 224, euro 14). Storie di passione, sofferenza, stregoneria e molto altro, tutto sotto il segno della virità, ovvero la verità, che, come il titolo specifica perfettamente, è un sostantivo femminile singolare e plurale allo stesso tempo. Ogni racconto parla di storia, cultura, lingua in piena fusione con il mondo femminile rappresentato da donne che non hanno avuto paura di seguire il loro destino, nel bene e nel male. Abbiamo fatto qualche domanda all’autrice per saperne di più sulla stesura e sullo sviluppo di questo affascinante libro.
Quando ha avuto l’idea per questo libro e in quanto tempo l’ha scritto?
Di fatto la mia ricerca è iniziata molti anni fa e per puro interesse personale. Non intendevo scriverne all’inizio e pensavo che le mie letture sarebbero rimaste come approfondimento per me. Quasi due anni fa invece scrissi un testo per il teatro, un monologo per un’attrice catanese. Si trattava di Peppa la Cannoniera, uno dei personaggi di “Virità”. La voce risultò credibile e al tempo stesso io avvertii sia l’esigenza di dare maggior respiro alla sua personalità sia quella di corredare il contesto con più informazioni. Da lì cominciai a lavorare al progetto. La parte più difficile è stata sicuramente quella di dare una forma alla mia idea. “Virità” non è un romanzo, non è un metaromanzo e non è neanche una semplice raccolta di racconti. È un “tesoretto di narrazioni”, come è già stato definito. Un esperimento sotto ogni profilo.
Ha suddiviso i racconti per sezioni: “Dee e sante”, “ Regnanti e nobildonne”, “Eretiche e peccatrici”, “Innovatrici e rivoluzionarie”, “Artiste, letterate e donne di scienza”, scegliendo per ogni sezione quattro donne, come ha scelto la giusta sequenza e selezionato le protagoniste?
È stata una selezione attenta e a tratti “dolorosa”. Le donne che ho conosciuto studiando sono state molte e tantissime di loro avevano una vicenda personale avvincente, che avrebbe meritato spazio. Tuttavia, per motivi editoriali, era necessario chiudere o meglio “socchiudere” almeno per adesso il cerchio. Pertanto, ho scelto in base al criterio delle “affinità elettive” quelle nelle quali, eroine o criminali e reiette, comunque ho ritrovato me stessa. Anche in maniera fantasiosa.
Qual è stata la prima donna di cui si è occupata e quale l’ultima?
Come accennavo nella prima risposta, la prima è stata Peppa la Cannoniera. L’ultimo racconto che ho continuato a rimaneggiare fino alla fine è stato quello di Santa Lucia. Forse perché mi tocca doppiamente e poi perché, in tutta sincerità, ipotizzare il pensiero di una santa rendendola molto umana è una grande responsabilità.
Ha perlustrato un periodo molto vasto che comprende duemila anni di storia fino agli inizi del Novecento, ma di certo ci sono anche molte altre donne di risalto nel periodo successivo. Vengono citate, nell’introduzione alla sezione “Innovatrici e rivoluzionarie” Franca Viola, Felicia Impastato e Michela Buscemi. Ci sarà un seguito (o più di uno) a “Virità”?
Sarebbe bellissimo. La ricerca non finisce mai di sorprendere e di materiale, come lei stessa suggerisce, ce n’è moltissimo. Ciò che distingue le donne del Novecento dal periodo così esteso che ho trattato è la maggiore possibilità di parola. Sulle “mie donne” ho potuto avere un margine ampio di narrazione creativa sempre nel rispetto della storia e della base documentale, perché loro stesse avevano avuto scarsa possibilità di farlo nei loro contesti. Nel Novecento la realtà è già diversa. Si tratterebbe di trovare ancora una volta una forma editoriale adeguata. Nulla di ufficiale, ma i cerchi io non li chiudo mai. Li socchiudo.
Conosceva già tutte le figure femminili che ha raccontato?
Sì, a parte quelle più conosciute, gli altri nomi li avevo già annotati durante le ricerche. Andavano però approfondite e soprattutto era necessario raccogliere quante più informazioni possibili sul loro contesto per scrivere racconti e protagoniste verosimili. Incluso il contesto linguistico. Per questo dico che il volume è un viaggio attraverso tutta la storia mediterranea senza trascurare le correnti religiose e le lingue che si sono stratificati nel corso dei secoli.
La virità che racconta è a volte spiazzante, quando giustifica scelte di reato, parlo ad esempio di Giovanna Bonanno (omicidio), o di Laura Lanza di Trabia (adulterio) e dolorosa quando si parla d’amore, nel caso di Bint Muhammad Ibn Abbad e Mariannina Coffa: secondo Lei, quanto lo spirito di sacrificio e quanto la fedeltà a se stesse ha influenzato le scelte di queste donne?
Infinitamente. La ringrazio per questa domanda perché coglie il senso del mio progetto. È spiazzante, sì. Ma è una virità ipotizzabile perché è quella che ha condotto a comportamenti di fatto documentati. Ciò che le accomuna tutte, nel bene e nel male, è la consapevolezza di essere proprio fedeli a se stesse. “Je suis comme je suis” scriveva Prevert. E così sono loro. Laura Lanza di Trabia è cosciente di essere un’adultera, ma è altrettanto consapevole di essere fedele a se stessa e all’amore. Cleopatra di Sicilia nel darsi la morte non soccombe, ma vince comunque. Anche la più confusa di tutte, Anna Saragola, la schiava eretica, apre il suo cuore e confessa tutto il turbamento dell’appartenenza a due mondi, quello cristiano e quello musulmano. E potrei continuare.
La copertina di “Virità” mostra, su sfondo rosso, due figure femminili, chi sono o chi rappresentano?
In realtà le figure femminili sono tre. E si tratta sempre della stessa donna osservata da tre prospettive diverse, un po’ come la virità che, secondo un relativismo prospettico, cambia a seconda di chi la racconta. Fronte e retro della copertina dialogano sul filo di quell’intreccio dei capelli che da un lato ricorda Homologos della Abramovich e dall’altro è sempre stato simbolo di sorellanza. Le tre donne hanno tre espressioni diverse, rispecchiano almeno tre degli stati d’animo che si possono leggere nel libro: riflessione, fermezza, dolore. Sono felice del lavoro grafico che è stato realizzato. La copertina riassume tutto in un’immagine dal notevole potere evocativo. Tre donne come le tre punte della Trinacria, come le tre grazie e molto altro ancora.
Oltre a essere scrittrice è anche controllora di traffico aereo: come due mansioni così diverse possono trovare la giusta combinazione?
Hanno sempre convissuto con me. Fin da ragazzina avevo queste due grandi passioni che su di me esercitavano un effetto calamita: gli aerei e la scrittura. Riuscire a coniugarle entrambe mi rende molto contenta perché non saprei rinunciare a nessuna delle due. Eppure forse non sono così distanti come appaiono. Direi che in entrambi i casi soddisfano il desiderio di libertà ed evasione. Entrambe conducono verso un viaggio e in entrambi i casi è richiesto metodo, studio. Ritengo infatti che la scrittura solo in una prima fase può essere sfogo e flusso di emozioni, poi diventa ricerca di forma ed equilibrio.
Oltre a scrivere racconti è anche autrice di testi teatrali, le piacerebbe portare le storie di “Virità” sul palco di un teatro?
Moltissimo. Già durante le presentazioni che ho in programma sarò accompagnata da un’attrice professionista che interpreterà qualche estratto. È un’idea su cui mi piacerebbe lavorare con qualche regista. Il testo dovrebbe sicuramente essere adattato, ma ha già una buona base di partenza.
Di che colore è la “virità” di Giusy Sciacca?
Non è distante dai colori della copertina: rossa come la passione e scura perché profonda.
Roberta Usardi