Viaggiatori dal futuro visitano la giungla urbana del presente: questo è “Jungle Gum”, il nuovo album dei Respiro – Intervista a Lara Ingrosso
Un concept album sociale, grintoso, graffiante. Si tratta di “Jungle Gum” (distr. Artist First), il nuovo album del duo electro-pop / alternative hip hop salentino Respiro formato da Lara Ingrosso (voce) e Francesco Del Prete (violino elettroacustico) uscito lo scorso 19 febbraio. Dieci tracce che raccontano l’arrivo di viaggiatori provenienti dal futuro in visita nel nostro presente: il primo incontro è con la musica, che sembra sempre la stessa, come si apprende dal brano apripista “La musica del futuro”, per poi proseguire con la tematica lavoro in ben due brani “Pre-carie” e “The wORking dead” passando attraverso “La giungla”, ovvero la dissolutezza presente nella società, e le persone che vivono nel loro limbo surreale dichiarando “NQSB” (Noi Qui Stiamo Bene), con una vena ironica e sarcastica. Non manca la crisi di identità in un mondo di stereotipi e pregiudizi, portata in luce dal brano “Corona di spine” e di come la pelle sia costellata dei segni lasciati dalle esperienze di vita, visibili e invisibili, come dice il brano “Ce l’hai scritto sulla pelle”. Il viaggio musicale prosegue con “oTTo”, in cui ci si trova tra quattro mura soli con se stessi fino a “Noi non li avevamo visti” che parla di immigrazione clandestina, per poi concludersi con “Gingomma”, termine dialettale del Salento che indica la gomma da masticare: segna la fine dell’avventura dei viaggiatori del futuro, che decidono, delusi, che è meglio tornare da dove sono venuti.
Per andare ancora più a fondo di questo disco e conoscere meglio i Respiro abbiamo raggiunto telefonicamente Lara Ingrosso.
Quando avete composto “Jungle Gum”: è stato ispirato dalla situazione di emergenza o ci stavate lavorando già da prima?
Abbiamo iniziato a scrivere e produrre i brani subito dopo l’uscita di “unPOPositivo”. In realtà l’album “Jungle Gum” sarebbe dovuto uscire a marzo 2020; è figlio di altri tempi, ma ha trovato terreno fertile per gli argomenti che tratta soprattutto nell’ultimo anno, è di una grande attualità. Inizialmente aveva otto tracce, poi durante il lockdown ne abbiamo scritte altre due, “oTTo” e “Gingomma”. “oTTo” parla della difficoltà di confrontarsi con se stessi in una situazione di chiusura e solitudine. Per chiudere il disco ci serviva anche un altro brano perché le tracce ci hanno portato a scegliere il format di concept album. Da qui è nata “Gingomma”.
Il concept è il racconto dell’arrivo di viaggiatori provenienti dal futuro che vengono a visitare la giungla urbana del nostro presente: che tipo di viaggiatori sono?
Li immagino come noi, umani che vengono dal futuro, che hanno esperienze diverse. Come tutti gli esseri umani sono mossi, nel loro viaggio, da un’insoddisfazione personale rispetto alla propria epoca. Nonostante non abbiamo idea di ciò che hanno passato i nostri nonni e i nostri genitori, c’è sempre una costante lamentela rispetto al presente, al “si stava meglio quando si stava peggio”. Dato che a volte abbiamo nostalgia per qualcosa che non abbiamo visto, ci è piaciuto immaginare che gli esseri umani del futuro fossero un po’ come noi, mossi da questa curiosità di voler vedere cosa c’era prima.
Come immagineresti invece un viaggio dell’uomo di oggi in un ipotetico futuro?
Non saprei, credo che l’essere umano sia più portato a pensare al passato più che al futuro, e ne è spaventato. Ecco, ci immagino molto spaventati in un ipotetico futuro.
In “Pre-Carie” e “The wORking dead” affrontate la tematica del lavoro: la precarietà e la vita d’ufficio senza gratificazione, come pensi si possa rimediare?
Esorto chiunque a seguire e sviluppare le proprie passioni per due motivi: perché la precarietà è dietro l’angolo per qualsiasi settore e perché gli esseri umani possono dare molto, anche umanamente, se sono gratificati, se esprimono al massimo i propri talenti. Non esiste in realtà una landa sicura, nulla è certo.
Parlando della copertina del disco, che raffigura una bolla di gomma che racchiude una società minacciata da uno spillo, cosa succederebbe se lo spillo la facesse esplodere?
L’immagine ha a che fare con quello che il disco intero vuole trasmettere: in questo contesto sociale noi possiamo diventare masticatori o masticati. Lo spillo è un po’ il karma, un elemento che rimescola le carte e inverte i ruoli ogni volta. A me piace vederlo così, sicuramente quello spillo poi andrà a far esplodere la gomma: è un continuo ripresentarsi di situazioni in cui a volte siamo masticati e a volte siamo masticatori.
Farete uscire altri singoli da “Jungle Gum”?
Sì, ci saranno altri brani estrapolati dal disco.
Il brano “Ce l’hai scritto sulla pelle”, struggente, esula da tutti gli altri: evidenzia che ogni esperienza vissuta lascia il suo segno, come una cicatrice, a volte visibile a volte invisibile. Come è nato?
L’idea del brano è stata di Francesco. Mi ha detto “vorrei scrivessimo un brano che parla delle cicatrici o dei segni che rimangono sulla nostra pelle che non hanno a che fare solo con l’età che avanza”. Tutto ciò che viviamo ci attraversa, anche lo sguardo cambia in base a quello che viviamo ed è una cosa che mi ha sempre colpito. Siamo partiti da lì e poi abbiamo pensato di estenderlo e di comprendere tutte quelle persone, le donne in particolare che provengono da altri luoghi e subiscono violenza fisica e che portano a vita sul loro corpo queste testimonianze. Il brano riguarda tutto e tutti i tipi di violenza, di dolore e di sofferenza, che siano visibili o invisibili. “Jungle Gum” è un disco sociale ed era importante coinvolgere quanta più gente possibile anche in questo brano.
Parlando del vostro precedente disco “unPOPositivo”, nella title track un verso che dice “non prendete le misure, a parte quelle che vi tengono distanti, da voi, fra voi, per voi, non per noi, è insuperabile la vista di chi sa guardare oltre”: si parla di una distanza che ora invece è una regola. Come interpreti adesso questo passaggio?
È stato naturale reinterpretare “unPOPositivo” nella sua complessità alla luce dei fatti di oggi. Questi versi acquistano un nuovo significato. All’epoca parlavamo del fatto di sentirsi inadeguati, non sentirsi bene con il proprio corpo e con se stessi: superare questa difficoltà significava allo stesso tempo superare i preconcetti rispetto agli altri e avvicinarsi. Adesso il significato riguarda la capacità di immaginare un futuro. Mi ritrovo a parlare con tanti miei coetanei (ho 28 anni) ed è una fascia di età che sta reagendo allo stesso modo, che è in bilico, un’età in cui si deve concretizzare, ma oltre allo Stato che non aiuta si è aggiunto il discorso della pandemia. Regna uno stato d’animo di confusione, di paura, di inadeguatezza. È successo anche a me pensare “tanto non riuscirò, non posso farcela” e non mi era mai capitato, sono stata sempre un’ariete in questo senso. Chiaramente questo periodo ha lasciato un segno indelebile. Il lavoro che dobbiamo fare adesso, dato che non possiamo fare tutto e abbiamo più tempo per stare a lavorare su noi stessi è continuare a immaginare un futuro possibile, guardare oltre: a un certo punto questa situazione passerà, è la Storia che ce lo dice.
Avete intenzione di fare qualche live streaming?
Ne abbiamo fatto uno il 18 febbraio alla Foresta Urbana di Lecce per presentare il disco, ci sembrava giusto, era triste far uscire “Jungle Gum” senza mostrarci in pubblico e suonare qualche brano.. Abbiamo qualche data estiva, sperando che si possa fare, stiamo aspettando di poter suonare live.
Quando hai iniziato a cantare e a comporre e come hai incontrato Francesco Del Prete?
Io e Francesco abbiamo percorsi molto differenti ed è questo il bello. Io ho iniziato a scrivere canzoni, a cantare, ballare e recitare sin da piccola. Mia madre ha sempre amato la musica, mio nonno è musicista e mio fratello è un musicista straordinario. Ho respirato musica e arte sin da bambina e l’ho sviluppata a modo mio. Il mio percorso e stato piuttosto eclettico, ho studiato arti dello spettacolo, un po’ di doppiaggio, mi sono avvicinata alla composizione e alla produzione. Ho fatto un po’ di tutto e alla fine mi sono concentrata sulla musica. Francesco invece ha fatto un percorso in conservatorio in violino classico, ma è un ribelle dello strumento, il violino viene visto come uno strumento un po’ incravattato, lui invece ha fatto una ricerca sullo strumento e la sua voce più rock, oltre a laurearsi in violino jazz. Le prime cose che abbiamo fatto insieme erano esperimenti di ricerca, poi abbiamo poi imboccato la strada del pop positivo. Ci siamo incontrati perché lui aveva un progetto per violino solo e voleva estenderlo a una voce femminile. Bazzicando negli stessi ambienti ci siamo conosciuti e abbiamo deciso di iniziare a lavorare insieme e da lì non ci siamo più fermati.
Roberta Usardi
Fotografia di Giorgio Gabe
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