Van Gogh Alive-THE EXPERIENCE a Verona, prorogata fino al 2 aprile 2018
Avete tempo fino al 2 aprile per visitare la tanto acclamata e discussa mostra multimediale di Van Gogh Alive-The Experience, al Palazzo della Gran Guardia di Verona. Van Gogh è uno di quegli artisti entrati nell’immaginario collettivo, anche chi non lo conosce sa chi è. Un po’ come accade per Picasso o per pochi altri che vengono riconosciuti dalla massa e pertanto apprezzati. Quasi tutti possono individuare I Girasoli di Van Gogh, ne riconoscono la pennellata audace, forte e impetuosa. Sanno che la follia lo portò a mutilarsi un orecchio, identificano i suoi autoritratti: ogni artista ha dei tratti caratteristici che sono diventati famosi e chi non ne approfondisce le vite rimane su alcuni capisaldi che diventano quasi stereotipi.
Entrando nelle grandi sale del Palazzo il percorso ha inizio con delle locandine che riproducono alcune opere di Van Gogh e ne tracciano sinteticamente significato e periodo biografico. Si procede con la fedele riproduzione de La camera di Vincent ad Arles e ci si inoltra nella prima sala dei grandi pannelli su cui scorrono le immagini delle opere principali del pittore olandese, accompagnate da una potente musica strumentale. Scorrono anche frasi tratte dalla fitta corrispondenza che l’artista ebbe con il fratello Théo, celebre documentazione che testimonia anche il suo pensiero e le sue riflessioni.
L’esperienza multimediale della prima sala prova a essere un’interazione tra diversi linguaggi: il linguaggio visivo poggia sulla proiezione di immagini che mostrano le opere di Van Gogh; il linguaggio sonoro utilizza la musica strumentale ed è quindi un tripudio ben congeniato da Vivaldi a Schubert. Si hanno, quindi, due mezzi di comunicazione e lo spettatore guarda e ascolta, praticamente come in una sala cinematografica, con la differenza che qui si può vagare nella stanza cambiando anche la propria prospettiva, oppure ci si può sedere a terra. Si va a comunicare il processo creativo dell’artista, in particolare il decennio 1880–1890, quando la vocazione religiosa di Van Gogh diviene sicuramente vocazione e genio pittorici. Le immagini scorrono e tracciano il periodo olandese, coi toni scuri e cupi, il periodo vivace francese di Parigi e la Provenza, l’influenza dell’arte giapponese. Quando si giunge al periodo della clinica psichiatrica di Saint–Rémy e al suicidio del 1890, la proiezione termina e ci si sposta nella seconda e ultima sala: c’è un più ampio respiro perché l’ambiente si dilata così come i pannelli si alzano verso i soffitti che si vorrebbero forse anch’essi specchio di immagini. Il percorso multimediale è il medesimo, ma cambiano le forme e gli spazi. Ci si arrende al suono e alla visione.
Per quanto scatti immediata la perplessità quando si capisce che il percorso della mostra è già giunto al termine, è forse necessaria un’inversione di tendenza rispetto alle solite mostre: bisogna porsi in uno stato di apertura e meditazione, lasciarsi avvolgere, ascoltare, guardare, non pensare. Non pensare che mancano i quadri, quelli veri, e lasciarsi suggestionare, compiere un atto di abbandono, forse di noia e anche attesa. La mostra multimediale, che vuole collegarsi alla contemporanea mentalità disordinata tecnologica fatta per lo più di smartphone e social, nasconde in sé la falla: il pubblico non è più abituato a fermarsi, ad ascoltare, a guardare. Il pubblico vuole tutto e subito e quindi prova noia e fastidio anche per il prezzo del biglietto che reputa ingiusto. Ci vorrebbe un manuale d’istruzioni che imporrebbe di sostare nelle stanza per almeno un paio d’ore, possibilmente con altri pochi fortunati spettatori e solo così, poter provare a sentire veramente Van Gogh. Ed ecco che arriverebbero potenti i suoi cieli stellati e tortuosi, i suoi cipressi, i suoi ritratti, i fiori, le notti e la terra. E, nonostante la mancanza stessa di Van Gogh e dei suoi quadri, ecco che si coglierebbe quasi un’essenza, un connubio perfetto toccato per pochi attimi. C’è ancor più multimedialità nel momento in cui il pubblico pagante sfrutta i giochi di buio e luce per inforcare il telefono e dilettarsi negli scontatissimi autoscatti. Ma manca qualcosa, fossero anche banalmente i quadri che poi, se non si è stati almeno al Van Gogh Museum di Amsterdam, viene davvero voglia di vederli realmente.
Una mostra che potrebbe essere l’introduzione o la fine di una mostra vera. Il dibattito è ovviamente aperto se riflettiamo su un diverso tipo di esperienza: esiste la classica mostra in cui osservare centinaia di opere oppure esiste la mostra cosiddetta multimediale in cui osservare immagini dei quadri in sequenza e ascoltare. In quale, tra le due esperienze, Van Gogh è davvero vivo?
Silvia Paganini