Urban Fabula: il nuovo disco “Movin'” e il ruolo sociale degli artisti – L’intervista
“Movin’” è il nuovo album degli Urban Fabula per TRP Music, anticipato dal singolo “Cubanito”. La band è formata da Seby Burgio (pianoforte, Fender Rhodes in Jet Lag), Alberto Fidone (contrabbasso) e Peppe Tringali (batteria e voce in “Manu”). Due gli ospiti del disco: Yoro Ndao (voce narrante in “Yoro”) e il coro di bambini del C.E.S.M. (Centro Etneo Sudi Musicali) di Aurora Leonardi. La tracklist è composta da sette brani originali più la cover di “Englishman in New York” di Sting. Gli Urban Fabula sono nati nel 2010 dall’incontro dei trei musicisti siciliani con il produttore Riccardo Samperi.
Ciao a tutti voi! “Movin’” è il vostro secondo lavoro discografico dopo l’album omonimo uscito nel 2012, quando avete iniziato a lavorarci?
Ciao Roberta e grazie per questa bella opportunità che ci concedi per parlare un po’ di musica. Movin’ è il secondo lavoro interamente a nostro nome. Il primo omonimo “Urban Fabula” è stato pubblicato in realtà nel 2011. È passato talmente tanto tempo che anche noi ci confondiamo ogni tanto sull’anno di pubblicazione (certamente ci sarà capitato di mettere in rete la data sbagliata). Da allora, oltre alla attività concertistica, abbiamo partecipato alla realizzazione di diversi prodotti discografici in collaborazione con altri artisti. Abbiamo lavorato alacremente a questo nuovo disco cercando di curare al meglio tutti gli aspetti, da quello strettamente musicale, compositivo ed esecutivo, a quello editoriale con tutto ciò che ne comporta. Riuscire a far partire questa enorme macchina, conciliando tutti i nostri impegni non è stato semplice. Tutte le scelte operate sono state condivise e pensate per sostenere il futuro del disco e la sua promozione. Essenziale è stata la presenza del nostro amico, ingegnere del suono e co-produttore Riccardo Samperi con TRP Music, quarto uomo del trio, che ha reso poesia i suoni, riuscendo a confezionare sapientemente le nostre più intime emozioni all’interno del disco. La realizzazione di Movin’ ha rappresentato per noi una ulteriore opportunità di crescita, così come i suoi tempi di maturazione. In altre parole, non abbiamo voluto barattare l’autenticità di quello che desideravamo esprimere, con la fretta di doverlo fare per forza.
Il titolo “Movin’” è in contrasto con il periodo di stop che stiamo vivendo in questo momento, in cui ci si può muovere molto di più con la fantasia; qual è l’input di movimento che volete dare?
Giustissima osservazione. In realtà la risposta è metaforicamente insita nel concetto di improvvisazione jazzistica, o quantomeno in alcuni dei suoi aspetti: tanto più difficili saranno le “costrizioni” melodico-improvvisative dettate dagli accordi o dalle loro intersecate progressioni tanto più sarà potente “l’apparente” libertà di un “solo”, espressione di movimento intellettivo ed istintuale, creativo e razionale, tanto rispettoso delle rigide regole da saperle abbandonare al momento giusto. Il movimento fisico rappresenta solo una naturale conseguenza di quello mentale ed emotivo; l’immaginazione, la fantasia e le emozioni ne tracciano inevitabilmente il percorso, conferendogli un significato senza il quale il “muoversi” sarebbe solo un atto meccanico.
La copertina di “Movin’” mostra un uomo senza corpo, solo con i vestiti, in uno spiazzo all’aperto senza nessuno, cosa rappresenta?
Questa bellissima foto che abbiamo l’onore ed il privilegio di avere in copertina ci è stata regalata da un grande amico, artista eclettico, musicista di rara sensibilità, fotografo immaginifico, medico infaticabile: il nostro compagno di viaggio Claudio Allia. La risposta più corretta sul significato della foto potrebbe darla solo il suo autore, ma si sa, i grandi artisti spiegano l’arte attraverso l’arte, lasciando che ognuno veda quello che vuole o che trovi ciò che cerchi. La foto fa comunque parte di uno dei suoi tanti progetti fotografici (Claudio ha esposto a New York, in Malesia, ha condotto reportage fotografici in Africa ed in diverse parti del mondo) che consigliamo di vedere, sia a te che al pubblico che ci segue, per il variegato universo che offre. A noi è piaciuta per il suo sapore surreale: un corpo di un uomo, presumibilmente d’affari, che scappa dal suo involucro. Tra l’altro, nella foto originaria, in frontespizio e nel nostro disco sul retro della copertina, c’è proprio un piede in movimento. Lo scenario è quello di Gibellina, in provincia di Trapani, devastato dal terremoto del Belice del 1968; in un apparente scenario totalmente statico, gli unici movimenti sono dati dai pensieri, da ciò che si immagina, dalle sensazioni che la foto suscita. Non si tratta di un fotomontaggio realizzato in post-produzione; il nostro Claudio si aggirava – racconta egli stesso – con un manichino (o meglio con un vestito senza manichino dentro!) ed un assistente che doveva essere pronto a spogliarsi per realizzare le varie prove di scatto (in entrambi i sensi!). Questo approccio verso il “fare artistico” sposa, tra le altre cose, la logica del gioco: divertente, sorprendente ed a tratti irriverente. Tutto questo lega indissolubilmente Claudio al nostro modo di essere, di pensare la musica e di raccontarla.
Siete una formazione longeva, esistete da dieci anni e avete partecipato a tantissime collaborazioni, qual è stato per voi uno dei momenti più memorabili?
Ogni performance o concerto che abbia determinato un passo in avanti nella nostra crescita ed evoluzione musicale merita per noi particolare considerazione. Pensiamo al primo concorso internazionale importante vinto, ai primi concerti con grandi artisti che poi sono diventati amici e punti di riferimento essenziali nella nostra vita artistica. Magico è stato l’incontro con Fabrizio Bosso, artista eclettico e persona splendida. Anche la collaborazione con Gegè Telesforo, ugualmente longeva, è sempre stata esaltante, dandoci la possibilità di imparare sempre qualcosa di nuovo. Non possiamo citare tutti per ragioni logistiche ma ci teniamo a ricordare le esperienze più importanti: Enrico Rava, Steve Groosman, Paolo fresu, Javier Girotto, Franco Cerri, Daniela Spalletta, Barbara Casini, Max Ionata, Rosario Giuliani, Micheal Rosen e tanti altri che hanno contribuito a rendere con i loro insegnamenti, quello che Urban Fabula è oggi. Ci sentiamo di dire che siamo stati fortunati e siamo grati a chi ci ha concesso la propria amicizia, condividendo anche esperienza e mestiere. Abbiamo investito molto sulla nostra preparazione da singoli e come ritmica e le occasioni, divenute opportunità, non sono mai mancate.
Come avete scelto gli ospiti del disco, Yoro Ndao nel brano che porta il suo nome e il coro dei bambini del C.E.S.M.?
In alcuni casi, fortunatamente non in tutti, una delle potenziali “operazioni commerciali” che fa un gruppo per lanciare il proprio prodotto discografico è quella di assoldare il solista di grido, nella speranza di avere maggiore visibilità. Di contro in molti dei progetti artistici che possano definirsi tali invece vengono coinvolti artisti, noti o meno, che in maniera funzionale assolvono al ruolo di impreziosire un lavoro proprio perché utili ad esso attraverso le proprie peculiarità. Noi abbiamo cercato di costruire questo disco senza cedere alle lusinghe della “trovata da bel cofanetto ad ogni costo”. La musica stessa ci ha suggerito quello che di volta in volta poteva essere “adeguato” ad un brano. Yoro Ndao è un ragazzo senegalese che viene da Tambacunda un piccolo villaggio vicino Dakar. Peppe il batterista lo conobbe in un centro accoglienza di Siracusa e gli chiese, avendogli fatto ascoltare il brano, ancora senza titolo, di scrivere qualunque cosa quest’ultimo gli suscitasse. Questo pezzo prende il suo nome -YORO- e svela un messaggio importante: il rispetto per gli uomini, per i loro sorrisi accoglienti; l’aiuto di cui tutti abbiamo bisogno; le cose vere e non le loro proiezioni; la semplicità; un mondo che abbiamo il dovere di curare. È stata per noi una meravigliosa esperienza di arricchimento e di amicizia, una favola urbana appunto dove il confine tra narratore e protagonista inconsapevole si è andato dissolvendo pian piano. Oggi Yoro è un importante mediatore culturale con regolare permesso di soggiorno. Lo storytelling ci ha sempre aiutato a sognare e alcuni dei brani del disco sono fortemente condizionati da tutto questo processo creativo. Manù è uno di questi: un bambino immaginario che gioca con altri bimbi, tutti “diversi” come i colori in un arcobaleno che, senza pregiudizi, parlano solo il linguaggio del gioco. Quale migliore occasione per coinvolgere il coro di una importantissima scuola di musica catanese, il CESM (Centro Etneo Studi Musicali) gestito da Eleonora Salice, dove tra l’altro insegnano Alberto il contrabbassista e Riccardo il nostro sound-engineer. Il fantastico coro dei bambini diretto da Aurora Leonardi ha interpretato alla perfezione l’idea del gioco innocente e spontaneo che volevamo rendere.
Come mai avete scelto di riarrangiare il brano di Sting “Englishman in New York”?
Perché non poter esprimere la propria gratitudine e dunque rendere omaggio ad un artista ancora vivente, ci siamo chiesti? Ci piaceva l’idea di chiudere il disco con una cover pop e non uno standard Jazz. Devo dire che la scelta non è stata apprezzata da tutti gli addetti ai lavori, ma come già detto sopra, spesse prevale in noi l’istinto, più che l’algoritmo del politically correct. “English man in New York” è un brano che ci piaceva oltre che per la iconica versione del 1988 anche e soprattutto per i concetti espressi da Sting, uno dei più grandi artisti Pop del mondo artistico e musicale moderno:
“ci vuole un uomo per sopportare l’ignoranza e sorridere, sii te stesso”,
“Sono uno straniero, un perfetto straniero” “
gentilezza, sobrietà sono rare in questa società, la notte una candela fa più luce del sole”,
“un gentiluomo cammina ma non corre mai”
Queste parole ci rappresentano e con la stessa forza e apparente semplicità abbiamo voluto suonare questo brano con un arrangiamento essenziale. Un lungo solo finale di pianoforte in un continuo crescendo in interplay vuole esprimere il concetto di libertà e del diritto ai propri sogni.
Quali sono i vostri prossimi progetti?
Attualmente stiamo lavorando alla realizzazione di un video live di presentazione visto che il periodo storico non ci consente a stretto giro di fare concerti dal vivo e stiamo comunque pianificando in primavera un piccolo tour di presentazione, nella speranza che la situazione attuale vada verso un lento miglioramento generale che ci consenta di tornare a suonare dal vivo. Questa occasione storica rappresenta comunque un’opportunità per quanto riguarda il mondo dei social che rimane l’unica piazza virtuale dove poter condividere la propria musica e mantenere i contatti con le persone che ci seguono e con quelle che ci scoprono sul web. Tornare a potere godere della musica dal vivo come antidoto e come rimedio naturale alla paura, alla alienazione ed a tutte le altre inevitabili conseguenze che la pandemia ha generato. Mai come in questo momento, i musicisti e gli artisti in generale possono avere un ruolo sociale. Il nostro progetto è riuscire a portare Movin’ in giro, quando le condizioni socio-sanitarie lo consentiranno, cercando di regalare un sorriso e buona musica.
Roberta Usardi
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