“UNO ZIO VANJA” – DA ČECHOV ALL’ITALIA DI OGGI
Conclude in questi giorni la sua tournée al Teatro Franco Parenti di Milano, dove è in scena fino al prossimo 17 marzo, “Uno Zio Vanja”, prodotto dalla Compagnia Khora.teatro, in co-produzione con Fondazione Teatro della Toscana.
Vinicio Marchioni debutta alla regia affrontando il capolavoro di Anton Čechov, vestendo anche i panni del protagonista. L’adattamento, firmato dalla drammaturga Letizia Russo, mantiene una sostanziale fedeltà nell’impianto, trasferendo però la vicenda dalla Russia di fine ‘800 ad un contesto contemporaneo e decisamente molto italiano. La scenografia di Marta Crisolini Malatesta ribalta il palco portandoci dietro le quinte di un teatro. Bauli, costumi, locandine, strumenti musicali, fari, caratterizzano l’ambiente circondando una tavola apparecchiata. Al centro un crollo, uno squarcio nel muro, che diventa l’unica connessione con la natura esterna e con un ciliegio in fiore, richiamo all’indimenticabile Giardino. Un notiziario radio ci fa intuire che siamo nei giorni successivi a una terribile scossa di terremoto.
Così non più in un’azienda di famiglia, ma in un teatro da amministrare e da far sopravvivere in mezzo a mille difficoltà, e in una provincia duramente colpita dal sisma, si muovono i personaggi cechoviani e va in scena quel profondo, commovente dramma dell’apatia e del rimpianto di occasioni perdute, in cui la constatazione di una vita che passa sempre più in fretta accomuna tutti, ma non rende nessuno capace di agire per rompere quella immobilità, quella passività. Sonja (Nina Torresi) e suo zio Vanja fanno il loro lavoro avvertendolo come una trappola toccata loro in sorte per eredità. I guadagni sono corrisposti in larga parte a Serebrijakov (Lorenzo Gioielli), padre di Sonja e professore in pensione, risposatosi con la giovane Elena (Milena Mancini). Vanja è innamorato di lei, ma il suo desiderio adesso non può più trovare corrispondenza. Anche Sonja ama, senza avere il coraggio di dichiararsi, Astrov (Francesco Montanari), il medico, l’unica figura che giunge in quella casa dall’esterno. Ha idee diverse, è uno strano: pianta alberi, non mangia carne. In questa riscrittura, soccorre e assiste i terremotati. Eppure anche in lui prevale un senso di impotenza, la nebbia ha preso il posto dei sentimenti. Quando, infine, il professore annuncia di voler vendere il teatro, Vanja si ribella, la situazione precipita, per poi ritornare in quell’apparente, statico equilibrio iniziale. Vite che continuano a non scegliere, a non fare.
Il dramma di Čechov è così struggente perché così vicino al nucleo della natura umana, tocca nel vivo le paure di ciascuno, la paura di non avere più tempo, la paura della vecchiaia e della morte. Ci fa aprire gli occhi, quasi ci vedessimo dall’esterno riflessi in quei personaggi e capissimo all’improvviso che anche noi ogni giorno ci trasciniamo vittime delle nostre trappole, delle nostre vite non scelte. Di fronte a questo, l’operazione drammaturgica di attualizzazione, benché colga gli spunti già presenti in Čechov, risulta semplicistica e in sostanza esercizio sterile; ulteriori significati si affastellano su un testo che palesemente rivela di non averne bisogno. La denuncia della situazione dei terremotati, il focus sull’inquinamento ambientale, sugli abusi edilizi, su fabbriche che uccidono e cavalcavia che crollano: i brani aggiunti risultano anche incisivi e ben scritti (se ne potrebbe trarre facilmente una drammaturgia originale) ma paradossalmente fini a sé stessi in questa narrazione, dove il troppo finisce con il depotenziare i singoli significati e le buone intenzioni. Qua e là fanno anche capolino frecciate contro la critica teatrale: “Parla di teatro contemporaneo ogni volta che vede pendere un microfono da una graticcia davanti a un attore mezzo nudo!”, dice Vanja mettendo in dubbio le qualità del Professore. Ma è forse teatro contemporaneo questo amplificare didascalicamente l’attualità di un classico?
La regia di Marchioni, dal canto suo, porta a compimento in maniera pulita la messa in scena e il cast di interpreti – in cui citiamo anche Alessandra Costanzo, Nina Raia e Andrea Caimmi – svolge il suo compito con passione. Spiccano, soprattutto nelle scene emotivamente più toccanti, lo stesso Marchioni, un Vanja burbero, scompigliato e fragile, e Nina Torresi, capace di chiudere lo spettacolo in un abbraccio luminoso valorizzando il monologo finale: “Che cosa vuoi fare, bisogna vivere! E noi vivremo, zio Vanja. […] Tu non hai avuto gioie in vita tua, ma vedrai, zio Vanja, vedrai…Ci riposeremo…”.
Mariangela Berardi