“Una scuola per l’emancipazione” – Philippe Meirieu e l’apprendimento come processo condiviso
Philippe Meirieu in questo libro “Una scuola per l’emancipazione” (Armando Editore, 2019, pp. 280 euro 27) prende per mano il lettore, conducendolo alla scoperta di come l’apprendimento sia un processo condiviso che si sviluppa all’interno del gruppo classe i cui attori, alunni e insegnanti, sono i primi protagonisti. Per un vero processo democratico, l’educazione di un bambino o di un ragazzo non è solo un problema della scuola ma anche dei genitori, delle associazioni, degli Enti Locali, dei media, insomma di tutte le Istituzioni pubbliche.
Il percorso del libro si sviluppa in due parti: la prima intitolata “Sul Crinale”, la seconda “Nell’arena”. L’introduzione è stata scritta a quattro mani con Enrico Bottero, studioso del pensiero di Meirieu.
La profondità del pensiero di Philippe Meirieu si snoda lungo tutta la sua produzione scientifica. Forse colpisce poche persone il suo essere stato un maestro di scuola primaria, ma in realtà potrebbe essere il punto di svolta di un pedagogista o di uno psicologo che, nel corso della sua esperienza, abbia avuto modo di verificare come il lavoro con i bambini contenga proprio i cardini di un processo sulle cui basi poggiano il senso del gruppo per formare i cittadini, la comprensione dei saperi da trasmettere, la conoscenza dei cicli di sviluppo nell’età evolutiva, la capacità di collaborare con le istituzioni, la competenza per i metodi e gli strumenti di lavoro.
La pedagogia è così un’arte del fare che si snoda lungo l’asse assiologico (le finalità), quello epistemico (i saperi rapportati al momento di sviluppo degli alunni) e quello pratico (i metodi e gli strumenti).
Questa pedagogia tra il dire e il fare si è potuta concretizzare perché Meirieu non ha mai smesso di insegnare, rimanendo per tutta la sua carriera sul campo, nell’alveo della pratica.
In questi giorni di valutazione finale in ogni scuola, bisognerebbe tener presente che non basta insegnare per far apprendere qualcosa agli alunni. Il metodo in sostanza acquisisce valore solo in riferimento al tipo di uomo e di società che si vuole promuovere. Nell’Intervista alla Gazzetta di Parma (28/04/2020), Meirieu ribadisce il concetto che la scuola è un’Istituzione che ha il compito di incarnare i valori collettivi e di soddisfare le aspettative della società attuale. Questo tipo di dialettica ha portato Meirieu a scontrarsi sia con i filosofi sia con i neuroscienziati. La pedagogia, infatti, non può essere identificata né con il puro spontaneismo e lassismo né con l’improprio desiderio di imporre qualcosa a qualcuno.
Nel corso della storia molti pedagogisti di fama internazionale, come Pestalozzi, Freire, Freinet, si sono trovati in mezzo alla bufera, giungendo solo raramente ad avere un incarico universitario. Oggi il quadro si complica perché le polemiche sui media non sono più legate totalmente a un articolo scientifico, ma passano per un tweet di poche parole . La “viralità”, anche in Italia, passa attraverso la polemica sulla violenza a scuola, sull’obbligatorietà dei vaccini, sull’accoglienza degli alunni figli di immigrati, sulla carenza dell’edilizia scolastica, sull’introduzione delle telecamere in classe per proteggere i minori.
In sostanza, il messaggio che Meirieu lancia anche in questo libro è che bisogna ripensare innanzitutto alla formazione iniziale e in servizio per gli insegnanti, che essi imparino a lavorare tra loro in gruppo, scambiandosi più spesso opinioni personali senza rifuggire l’individualità.
La finalità? Costruire una classe che sia un collettivo, un gruppo, che utilizzi la pedagogia cooperativa proposta da Célestin Freinet. “Secondo Freinet ognuno ha un posto nella classe, per potersi mettere al servizio di tutti…Tutto ciò va ben oltre la semplice tecnica di gestione del gruppo…”. Infatti è per eccellenza, l’apprendimento della politica, del legame che unisce, in una democrazia, la responsabilità e l’autorità.
Da qui nasce la formazione all’attenzione, perché nel mestiere dell’insegnante, come afferma Meirieu, ci sono momenti ridicoli e patetici a cui è difficile sfuggire. Vuol dire che di fronte a una classe agitata, impegnarsi a chiedere il silenzio e l’attenzione spesso ha risultati privi di efficacia. È come se avvenisse spesso un paradosso in cui da una parte si esige l’ascolto, ma dall’altra gli alunni continuano a non ascoltare perché l’insegnante prosegue nella sua azione di richiesta di silenzio.
Che fare? Il suggerimento di Meirieu va nella direzione di comprendere come la frammentazione si presenti ogni qualvolta manchi la riflessione, non tanto sul perché ciò avvenga (ad esempio la moltitudine di stimoli che passano in una comunicazione attraverso il cellulare) ma sul come sia possibile ricostruire un contesto di gruppo, che faciliti l’attività di trasmissione del sapere. Dunque, vietare il cellulare non paga l’obiettivo di un’attività pedagogica congruente, visto che anche gli insegnanti usano il cellulare a scuola, non contestualizzandolo neanche loro in un’attività didattica. E gli insegnanti non possono e non devono usare né la “pedagogia del barista”, ripetendo a ognuno ciò che hanno spiegato nel gruppo, poiché non c’era attenzione, e né, d’altronde, possono minacciare, sedurre, finanche pregare, perché in tal modo l’esaurimento non tarda a venire. E aggiungerei il conclamato burn-out. Unica eccezione è la Scuola dell’Infanzia, dove gli insegnanti sanno calibrare bene le variabili spazio-temporali.
Una soluzione riguarda proprio il rituale di una giornata scolastica, in cui viene seguito una sorta di canovaccio dal momento dell’accoglienza al mattino, alla disposizione dei banchi, all’organizzazione della lezione, fornendo ai ragazzi l’obiettivo di quell’argomento specifico e a cosa ci potrà servire. E questo processo/azione conduce all’attenzione congiunta tra alunno e insegnante.
Un notevole riguardo Meirieu lo dedica anche alla valutazione in quanto va superata la logica della Pedagogia bancaria (Paulo Freire) nel dare i voti. In sostanza, il voto non può da solo compensare la fatica dell’allievo. La valutazione, pertanto, deve essere condotta secondo una Pedagogia del Capolavoro, ossia il ripercorrere secondo un’ottica metacognitiva il compito dell’alunno, riorientando il suo impegno sugli apprendimenti realizzati e su quelli da potenziare.
Bisogna ricordarci che un ragazzo che non ce la fa è, prima di tutto, un ragazzo che non siamo riusciti a far migliorare. Ogni ragazzo, a prescindere se ha o meno un disagio, deve essere condotto verso traguardi che lo rendano fiero di sé e di ciò che è riuscito a fare. Bisogna individuare in ogni alunno le sue risorse nascoste, perché lo individuano come Persona. E questo mi fa venire in mente Alberto Manzi quando nelle sue schede valutative scriveva il seguente giudizio: “Fa quel che può e quel che non può non fa!”.
Salvatore Sasso