Una “Madama Butterfly” attuale e straziante chiude la stagione al Teatro Regio di Torino
La Madama Butterfly di Giacomo Puccini colora di melodie la sala del Teatro Regio di Torino nelle prime sere d’estate e chiude una stagione ricca, variegata e innovativa. E lo fa con una lettura immediata e fortemente attualizzata della celebre opera, il cui libretto è scritto da Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, a loro volta ispirati dal racconto di John Luther Long e dal dramma di David Belasco.
Sin dall’apertura del sipario la regia di Damiano Micheletto manda un messaggio forte al pubblico: l’ambientazione di una Nagasaki primo novecentesca a cui si è abituati viene cancellata con un colpo di spugna e ci si trova nella moderna città giapponese. La spersonalizzazione che esplode davanti al pubblico trapela dagli enormi manifesti pubblicitari e insegne al neon che invadono la scena e che trasportano gli spettatori nell’asetticità di una metropoli asiatica in cui campeggia forte la cultura occidentale. La città che viene rappresentata aliena le persone che la vivono, le priva di un’identità. Il primo contrasto netto che si nota è un continuo passaggio tra dimensione pubblica e privata, cosa che viene estremamente facilitata da una costruzione trasparente a pareti mobili che occupa il centro esatto della scena e che si trasforma da vetrina a casa a prigione di Cio-Cio-San dopo, come se la vita privata fosse spogliata pubblicamente. Pregnante è anche il contrasto tra il degrado delle persone che abitano la scena e l’anelito del benessere e della felicità. Micheletto, con l’aiuto delle scene di Paolo Fantin e i costumi di Carla Teti, non ci racconta una storia fatta di geishe, ventagli e kimono immerse in un contesto temporale lontano, ma dimostra l’attualità della storia pucciniana, mettendo in scena la prostituzione delle ragazze, vendute al miglior offerente e che sperano in un riscatto che le liberi da quella schiavitù. Cio-Cio-San (interpretata dalla travolgente Barno Ismatuallaeva), minorenne e innocente, diventa vittima del turismo sessuale, in bilico tra infanzia ed età adulta, così persuasa dalle false promesse dell’uomo che l’ha comprata, il tenente della Marina statunitense B. F. Pinkerton (Matteo Lippi). L’attualizzazione del testo consente al pubblico di impattare maggiormente con la violenza e la crudeltà della storia narrata, che così risulta meno edulcorata dal fascino di un tempo lontano e di una cultura esotica. Butterfly diventa una bambola e suscita tenerezza che si trasforma presto in pena per il proprio ingenuo e infantilistico aggrapparsi alla speranza che Pinkerton dopo tre anni torni ancora da lei. Butterfly rimane senza conforto umano e anche quando le viene offerto denaro, prima da Pinkerton per mano di Sharpless (Damiano Salerno) e poi da Kate Pinkerton (Irina Bogdanova), la speranza di uscire dalla condizione di depravazione, sfruttamento (anche sessuale) e indifferenza si rivela vana sin dal primo istante in scena, al momento di quello che più che “matrimonio” si può chiamare “acquisto”. La violenza e la tragedia intessono ogni istante della trama e della musica. E il finale fa arrestare i cuori di tutti i presenti in sala, sospende il respiro, suscita brividi sulla pelle e ai più coinvolti fa scendere una lacrima: il figlio di Cio-Cio-San (Ludovico Dilauro) dondola di spalle sull’altalena, mentre Butterfly si spara alle tempie e cade a terra, raggiunta presto dalle braccia impaurite del figlio accorso dopo lo scoppio. Dopo il sopraggiungere di Pinkerton, il palcoscenico è travolto dalla luce accecante dei fari al fondo della scena, che lasciano così un bagliore asettico sulla lancinante disperazione. Anche il pubblico viene investito da questa luce che lo obbliga a sentirsi partecipe di quanto ha appena assistito.
La regia di Michieletto, che nei suoi lavori cerca di cogliere quanto di più attuale ci sia in maniera da raccontare al pubblico storie contemporanee, ha svolto un ottimo lavoro con i suoi interpreti, impeccabili oltre che dal punto di vista musicale, anche da quello della recitazione. L’orchestra, diretta da Dmitri Jrowski, si è cimentata egregiamente in quei colori esotici scelti da Puccini in melodie, timbri e suoni, anche giapponesi. Anche la musica in quest’opera trasmette le diversità tra la cultura orientale e occidentale e la difficoltà della comunicazione tra essi, dalla conversione di Cio-Cio-San al suicidio finale, passando per momenti di enorme pathos in cui la lente si restringe sempre di più sulla protagonista, tanto che lo spazio degli altri personaggi viene annullato e il pubblico rimane da solo con Butterfly nel suo dolore e nelle sue speranze infrante.
Giulia Basso