“UNA ISLA”: le riflessioni spettacolari sul tema dell’intelligenza artificiale di Agrupaciòn Señor Serrano in scena a Triennale Teatro di Milano
“Nessun uomo è un’isola,
completo in se stesso;
Ogni uomo è un pezzo del continente,
una parte del tutto.
Se anche solo una zolla venisse lavata via dal mare,
la Terra ne sarebbe diminuita,
come se un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una magione amica o la tua stessa casa.
Ogni morte d’uomo mi diminuisce,
perché io partecipo all’Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la campana:
Essa suona per te.”
John Donne
Non esiste nessun tema che sia oggi altrettanto capace di attrarci, e allo stesso di inquietarci profondamente fino a spaventarci a morte, quanto quello dell’Intelligenza Artificiale e delle sue infinite, possibili applicazioni. L’uomo contemporaneo sembra ondeggiare, frastornato e confuso, tra l’illusione di essere riuscito a creare l’Entità Superiore che sarà presto capace di risolvere ogni suo problema (dalle malattie, alle guerre, alla necessità di sostenersi attraverso il proprio lavoro) e il terrore di avere dato vita, salvo dover ammettere l’impossibilità di controllarlo e contenerlo, a un Frankenstein imprevedibile che presto lo soggiogherà o peggio si dimostrerà capace di estinguere l’intera Umanità. Salvezza, o minaccia? Le riflessioni non possono che essere aperte.
Anche a Teatro: e chi meglio di Agrupaciòn Señor Serrano, Compagnia da sempre capace di sorprenderci per la capacità di mescolare tematiche e strumenti diversi e di usare, e osare, l’esser sospesi tra fisico e digitale, può pensare di affrontare “creativamente” un tema così importante e delicato? “La Isla” si presenta in primo luogo in forma di dialogo, di conversazione tra uomo e “macchina”. Non è un caso. La prima rivelazione (sottile, quasi subliminale) è rappresentata da questa scelta drammaturgica, oltre che scenica, della Compagnia catalana, che ci mostra come uno dei due esseri dialoganti, l’Intelligenza Artificiale, abbia necessariamente bisogno dell’uomo. Quella che oggi chiamiamo comunemente AI, in qualsiasi forma ci si presenti, ha infatti bisogno di dialogare; da sola, non esiste; è, esiste, sempre e solo in connessione con qualcuno, con un uomo.
La prima cosa che vediamo in scena, un dialogo sullo schermo, è sia qualcosa di profondamente “umano”, cioè una conversazione, quanto qualcosa di genuinamente “informatico”, ovvero la rappresentazione di un classico sistema binario (nota: quando si parla di sistema binario ci si riferisce a un sistema numerico in base 2. Ossia, composto solo da due cifre, convenzionalmente 0 e 1, che nel linguaggio informatico corrispondono agli stati fisici, acceso e spento, dei transistor che compongono i vari chip). Non è un caso.
Eppure, questo dialogo ci sorprende.
“Le macchine mi colgono di sorpresa con grande frequenza.”
Alan Turing
Un secondo elemento, assolutamente portante, è rappresentato dai movimenti fisici ripetuti in loop da una ragazza in bianco che sembra allenarsi in scena. La parola chiave è “sequenza”, e richiama la capacità di un AI di mettere in fila, secondo un ordine statistico, elementi diversi senza che ciò abbia un senso; o forse un senso esiste e non lo comprendiamo: non è forse proprio ciò che a volte ci chiediamo quando ci troviamo di fronte all’Arte? E l’Arte stessa, può essere artificiale?
“Artificiale agg. [dal lat. artificialis, der. di artificium «artificio»]. – 1. a. Fatto, ottenuto con arte, in contrapposizione a ciò che è per natura.” Dal Vocabolario Treccani
Di fronte a queste domande, e a tutte le enormi questioni che il pensiero di un’intelligenza artificiale pone alle nostre coscienze, ci sentiamo come naufraghi; e così la scena diventa un’isola, o meglio un sistema di isole concentriche abitate da creature strane e palesemente improbabili come i centauri (mezzo giocatore di rugby e mezzo maestro di sci) create evidentemente dall’A.I.; oppure portatrici di speranza, come l’amico gufo giallo (l’umano rappresentato da una bambina, immagine dichiaratamente “facile” e scontata ma nondimeno necessaria perché dotata di libero arbitrio e della capacità-possibilità di rompere il giocattolo, la “bolla”, se vuole…). Il finale è aperto e c’è la sensazione, netta, di uno spettacolo coerentemente in divenire, destinato a cambiare e modificarsi ancora. Esattamente come lo è oggi l’Intelligenza Artificiale.
Notevoli, e come sempre affascinanti, gli strumenti scenici (con l’ausilio delle potenti creazioni digitali generate da una AI, che mescolano attraverso un morphing implacabile elementi passati e futuribili, reali e immaginifici) che Agrupaciòn Señor Serrano inserisce in uno spettacolo intelligente, artificiale e allo stesso tempo umano. “Una Isla” può attrarre o inquietare, affascinare o respingere, ma certamente riesce a farci sentire ben più di “una manciata di parole in un universo di silenzio” e parte di un “tutto” oggi forse ancora più grande.
Come nella poesia di John Donne, ogni vita umana, per quanto piccola e insignificante, è una componente dell’umanità che, in quanto tale, è connessa a ogni frammento dell’esistenza, reale o artificiale che sia. Perché nessun uomo è un’isola. Tantomeno, un’isola artificiale.
A. B.
Fotografia di Leafhopper
UNA ISLA
Creazione di Agrupaciòn Señor Serrano
Regia e drammaturgia: Alex Serrano, Pau Palacios