Una “Guida immaginaria” sotto il cielo di Castel Sant’Angelo
Da sempre poeti e filosofi elogiano la cultura di Atene, madre delle arti e dell’eloquenza. Ma se, quella ai più nota come la culla della civiltà occidentale, non lo fosse davvero?
È l’interrogativo che nasce dopo la visione di “Guida Immaginaria”, presentato sabato 18 settembre nel Bastione di San Matteo del Castel Sant’Angelo per la rassegna “Sotto l’Angelo di Castello: danza, musica, spettacolo”. Un’autoguida con al centro una rilettura del mito greco, scritta da Giorgina Pi e Gabriele Portoghese, (produzione Bluemotion) di cui il Collettivo Angelo Mai ha curato l’ambiente sonoro. La modalità di fruizione è quella degli spettacoli “Silent”, al pubblico seduto in uno spazio circolare, quasi alla penombra, vengono distribuite cuffie, mini torce e piccoli cataloghi pieni di immagini da consultare.
Quando la guida Kostas (Gabriele Portoghese) comincia il racconto si ha l’impressione di essere ospiti privilegiati, piccoli visitatori al cospetto di una comunità eterogenea di figure umane e bestiali che rivivono nelle voci di Marco Cavalcoli, Sylvia De Fanti, Giorgina Pi, Laura Pizzarani. Una leonessa fa a pezzi un vitello, due cavalli si lanciano sguardi chiaroveggenti, Eracle lotta con Tritone, un uomo porta sulle spalle un agnello da sacrificare. Non tutti gli spettatori riescono ad adattarsi al tipo di proposta artistica, che richiede una concentrazione acustico -visiva diversa dal solito, qualcuno decide di defilarsi. Gli altri, determinati a proseguire, si ritrovano davanti alle bizzarre descrizioni di creature ctonie, intervallate da musiche tradizionali greche e brani di Manos Hadjidakis. Ed ecco che una sfinge di marmo del 535 a.C., ci punta gli occhi sorridendo, un sorriso spensierato definito “arcaico” dagli studiosi, ma che Kostas attribuisce all’ottimo umore della sfinge in questione, la quale ha solo l’aria di sentirsi speciale e sa di essere straordinaria. È questo l’aspetto inedito del progetto, non si desidera spiegare in modo enciclopedico la storia dell’arte, sebbene il contributo all’impostazione del progetto del classicista Massimo Fusillo, a volte, possa far virare in quella direzione, si intende, piuttosto, dare un nuovo punto di vista sul passato, provando a ribaltare gli stereotipi. Ad esempio, durante la narrazione si delineano due modelli di femminilità opposti, Artemide altera e irruente, nel cui tempio erano condotte le giovani fanciulle per rimanervi fino a che non fossero pronte per il matrimonio, e Afrodite rappresentante di un ideale di libertà nuovo, che non trovava ancora terreno fertile in Grecia, giacché in una cultura fortemente canonizzata si dava più importanza alla parte razionale che a quella esoterica. Si cerca di comprendere fino a che punto tutto ciò possa riguardarci, di capire perché a quell’epoca si ritenesse sacro un albero di ulivo, o perché il volto di un ex voto fosse scolpito nella pietra.
Stupisce, inoltre, la costante interazione tra due punti di vista differenti, quello più immaginario e quello più reale. A testimoniarlo la stravagante telefonata fatta ad una cariatide collocata da più di duecento anni al British Museum di Londra. Un chiaro pretesto che fa luce sulla battaglia condotta dalla Grecia per ritornare in possesso dei marmi del Partenone, asportati e trafugati nell’Ottocento dall’ambasciatore britannico Lord Thomas Bruce Elgin. Non manca poi un richiamo alla crisi economica che ha messo in ginocchio Atene a fine 2009, quando era emerso che i precedenti governi avevano falsificato i dati di bilancio dei conti pubblici per permettere al Paese di entrare nell’euro, denunciando così il rischio di bancarotta. Ciò che, tuttavia, sembra vacillare più di ogni altra cosa è l’idea stessa di esaltazione della democrazia greca. Basti pensare alle critiche feroci che già allora filosofi come Platone o Crizia formularono, vedendo, in realtà, nella democrazia ateniese un cattivo governo, il regno della corruzione e, soprattutto, dello spreco. Spicca, insomma, una natura ben diversa dalle demagogiche ricostruzioni, spesso dolcificate, fatte nel nostro secolo, che non tiene conto del carattere difforme e poliedrico della cultura classica. Non era la Grecia un luogo idilliaco: la divisione in classi, le donne schiavizzate, gli stranieri considerati barbari lo dimostrano. Ed è, forse, proprio in questo paradosso che si ravvisa la nostra discendenza, anche noi viviamo in una società pervasa da ingiustizie e violenza, facciamo i conti con una politica incapace di integrare identità e culture.
“Guida Immaginaria” sembra, così, voler dirci di non affidarci ciecamente a credenze comuni, ma di allargare il nostro sguardo a molteplici letture del mondo, per capire davvero quali siano le nostre origini.
Diana Morea