UN TANGO PER IL DUCE: TRA STORIA E FANTASIA
Irridente, ironico, a tratti triste e amaro come è giusto che sia, Un tango per il duce (Voland, 2018) l’ultimo romanzo dello scrittore spezzino Marco Ferrari, racconta una storia surreale, paradossale, totalmente inventata: la fuga di Mussolini attraverso le ratline, lasciando al cappio di Piazzale Loreto il suo sosia, per raggiungere con una fuga rocambolesca il Sud America. E questo può essere. Tanti, forse troppi gerarchi del passato regime italico e germanico hanno riparato nelle pampas argentine, godendo di appoggi politici e coperture internazionali. Ma pur con l’esattezza della storia, dovuta alla frequentazione e collaborazione con Arrigo Petacco, il “tango” di Ferrari diventa, al di là della fantasia, una metafora dell’inconcludente desiderio di un trionfale ritorno proprio perché – e sta qui la bellezza del libro – lungi dall’essere un affresco di nostalgie, ogni pagina dai forti colori iniziali via via si scolora in un acquarello di benevola misericordia.
Approdato in un paesino sperduto dell’entroterra argentino – abitato da una sparuta comunità d’immigrati italiani che non accolgono il naugrafo con onori o devozione e men che mai con timore riverenziale, ma piuttosto con una distratta curiosità – Mussolini non trova di certo l’ambiente sperato e le condizioni idonee alla realizzazione del suo desiderio di rivincita. Eppure “il Duce del fascismo”, la mascella che radunava e arringava folle oceaniche in Piazza Venezia, tra polli e tacchini e qualche morso di pane secco che la piccola comunità può offrirgli, prova, con la sua retorica da fumetto supportata comunque da una forte personalità, e riesce comunque a radunare un piccolo esercito di disperati pronti a ripartire alla riconquista dell’ impero perduto.
Ma non c’è tango senza casqué, nemmeno se a ballarlo è il Duce. In quel mondo, in quell’angolo lontano dalla patria, nello sperduto paesino denominato Romagna Argentina, dove non esistono né linee telefoniche e nemmeno energia elettrica, le velleità guerriere dell’armata brancaleone – messa in piedi da un dittatore disilluso e sconfitto – non possono che infrangersi miseramente all’ingresso di un’altra cittadina altrettanto desolata e sperduta, dove il superstite dittatore, finirà – per grazia di Dio e volere della Nazione – a fare tutt’altro mestiere, abbandonando per sempre la speranza del potere, chinandosi umanamente all’implacabile corso della storia.
Francesco De Masi