Un secondo sguardo su “L’Angelo della Storia”
Scegliete la Terra; scegliete un branco; scegliete il più voluminoso di tutti gli album di famiglia; scegliete gli antenati e accostateli ai rispettivi discendenti; scegliete continenti lontani, gabbie vicinissime, prede, sogni, pericoli, sorrisi; scegliete degli altri Sapiens per dare forma al racconto mentre questo scorre ininterrottamente sotto i vostri piedi che danzano; scegliete un titolo all’altezza; scegliete una colonna sonora che funziona; scegliete gli aneddoti più paradossali e un “tone of voice” adeguato anche al pubblico più facile alla distrazione; scegliete di andare anche dove non si tocca; scegliete il teatro; scegliete la Specie.
No, l’angelo in questione non si chiama Renton, non ci troviamo nelle periferie scozzesi e nessuno vi sta correndo incontro sulle note di Lust for Life di Iggy Pop. A differenza del film cult che fin qui ci siamo permessi di evocare, la performance della compagnia Sotterraneo non indugia sulle dipendenze, né in senso stretto né in senso lato: L’Angelo della Storia assume fin dal primo istante un punto di vista astratto, proponendosi di evadere dalle tradizionali unità di spazio, tempo e azione spostandosi là dove una musa di fuoco può lasciare intravedere una traccia comune, un denominatore per ogni “qui” e ogni “ora” dell’esperienza umana su questo pianeta. Per intenderci, si va dalla dura lotta per la sopravvivenza nella preistoria al trionfo del superfluo e delle fake news, dalle violenze commesse in nome di una verità di fede al suicidio rituale di Mishima il 25 novembre 1970.
Tutto è superficie, tutto è calpestabile, tutto (o quasi) è guidato da una voce narrante. Walter Benjamin mette in guardia, “Non è che il passato getti luce sul presente o il presente la sua luce sul passato”. L’ultimo scritto del filosofo fornisce lo spunto per il titolo e l’immagine cardine attorno alla quale Sara Bonaventura e Claudio Cirri – che unitamente a Daniele Villa firmano anche l’ideazione e la regia – esplorano la scena insieme a Lorenza Guerrini, Daniele Pennati e Giulio Santolini. Alle loro spalle una grande creatura gonfiabile e un pannello luminoso che indica di volta in volta la datazione di quanto ci viene raccontato. Ciascun interprete è armato di microfono e, se da un lato è ammirevole il lavoro collettivo anzi coreutico nell’alternarsi nei diversi ruoli e contesti, dall’altro è piuttosto evidente che i momenti più efficaci dello spettacolo, quelli che vengono fulmineamente scolpiti nella memoria anche una volta tornati nel mondo esterno, sono quelli in cui la voce fatalmente tace e i corpi prendono il sopravvento, sollevandosi in volo o perdendosi negli abissi.
Ad ogni modo, auspicando di avere presto occasione di assistere anche alla recente produzione intitolata Il fuoco era la cura, invitiamo alla lettura della prima recensione de L’Angelo della Storia apparsa su questo magazine al debutto nel 2022: [https://www.modulazionitemporali.it/langelo-della-storia-o-di-come-inspiegabilmente-tutto-abbia-a-che-fare-con-tutto/].
Visto al Teatro Comunale di Pergine, mercoledì 27 novembre 2024.
Pier Paolo Chini