Un inferno divinamente vissuto nelle profondità di Castellana Grotte in Puglia
Luci rosse, intense. Rosso fuoco, rosso peccato.
Una scalinata ripida che preannuncia una discesa verso quello che è l’Inferno dantesco. Voci e suoni poco distinguibili si mescolano, con la fatica di dover attraversare e percorrere quelle scale, con la possibilità di incontrare qualche anima dannata, i demoni cerimonieri che, con movimenti contriti, si muovono tra il pubblico spaesato, smarrito in quel “Hell in the Cave”.
È l’inizio di un viaggio, del viaggio nelle viscere di un luogo che al meglio ricorda e rimanda all’ambiente che il Sommo Poeta ha immaginato nella sua opera, capolavoro della letteratura italiana, annoverata tra le tre corone della nostra storia artistica.
Speroni rocciosi, umidi, freddi, fanno da contraccolpo al fuoco del peccato eterno, che arde nei corpi degli attori e performer che si muovono sinuosamente tra il pubblico che assiste a questo viaggio in bilico, in piedi su una passerella, attraversata da corpi sgualciti, rovinati da passioni proibite e spinte trasgressioni.
Lo spettacolo “Hell in the Cave”, magistralmente diretto da Enrico Romita, e con Giusy Frallonardo per il training degli attori, oltre ad essere attrice e drammaturga, è andato in scena sabato 14 settembre nella suggestiva cornice delle grotte di Castellana in Puglia, complesso carsico di grandi dimensioni.
Nella Grave, la prima caverna, si aggirano le anime dannate: dal Conte Ugolino a Lucifero, Pier delle Vigne e Paolo e Francesca, magnificamente rappresentati a mezz’aria, come se fossero in volo, aggrovigliandosi in un vorticoso volteggiare che ricorda il loro amore dannato. Brunetto Latini in un bolla bianca, isolato, vive la sua condizione di peccatore, e subito dopo si scorge un tessuto aereo rosso e si sente una voce: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”; è Ulisse, che brucia tra le fiamme per il suo ardente desiderio di sapere e di “canoscenza”, spingendo se stesso e i suoi compagni verso l’orizzonte per navigare l’ignoto, oltre Gibilterra, oltre il mondo conosciuto.
Un viaggio catartico, quindi, che conduce lo spettatore negli anfratti del mondo infernale fino a risalire e sperare in una luce bianca, candida, quella di Beatrice, sospesa in aria con un lunghissimo abito, legame profondo tra il fondo della terra e l’alto del cielo dove “l’amor […] move il sole e l’altre stelle”.
Lucia Amoruso