UN GRANDE LAVIA TRA DUBBIO E FOLLIA
Mobilia imponente, un po’ sgangherata, come pezzi d’arredo del salone elegante di una nave da crociera che sta per naufragare, pezzi che stanno per inabissarsi in un oceano di velluto rosso e assieme agli arredi la dignità e la vita. È in una grande stanza dai pesanti broccati vermigli, nell’ampio salone dalla grande vetrata dietro la quale si riflette il freddo dell’inverno dall’incessante nevicata, che si consuma la tragedia.
Al Teatro della Pergola di Firenze – dal 16 al 21 gennaio – va in scena Il Padre di Strindberg con Gabriele Lavia che ne cura anche la regia.
Definito da Nietzsche “un capolavoro di dura psicologia”, rappresentato per la prima volta nel 1887, Il Padre è il dramma per eccellenza. La vicenda prende spunto da un banale conflitto coniugale, tra due genitori che si scontrano sull’educazione da impartire alla figlia; il padre, il capitano Adolf militare rigoroso e studioso di scienze vorrebbe mandare la figlia Berta a studiare in città. La madre Laura, donna scaltra ed esuberante, vorrebbe invece dedicarsi personalmente all’educazione della fanciulla e – pur di riuscire nel suo intento – è pronta a tutto, persino a instillare nel marito il dubbio atroce di non essere lui il padre della ragazza e, d’accordo col medico, riesce a farlo interdire. In tempi in cui la genetica non disponeva ancora del test del DNA, nel pacato capitano inizia un travaglio psicologico che lo porterà alla delegittimazione dal suo ruolo di padre e di uomo in un crescendo di disperazione tra ciò che si afferma e ciò che si nega.
Gabriele Lavia, insuperabile interprete del Capitano Adolf conferma una così alta levatura artistica sino a riuscire ad andare oltre la finzione scenica regalandoci un personaggio reale e indimenticabile nei gesti e nei dialoghi sussurrati o urlati, nelle parole che si succedono mentre precipita nell’abisso della perdita della propria identità di maschio, di padre, di marito senza affetto e senza onore sino alla regressione, nella follia, a uno stato di incoscienza infantile: “…quant’è dolce addormentarsi sul petto di una donna, la madre o l’amante, ma più dolce se è la madre!”
Profonda e altera l’interpretazione di Federica Di Martino nel ruolo della perfida moglie del Capitano e senza alcuna sbavatura gli altri bravissimi interpreti, Giusi Merli, Gianni De Lellis, Michele Demaria, Anna Chiara Colombo. Ghennadi Gidari e Luca Pedron.
La scena finale – capolavoro di Alessandro Camera – è un trionfo di broccato rosso, non ci sono più arredi, non c’è più finestra, non c’è passato non c’è futuro, solo il rosso della follia, dove l’identità si perde ingoiata dall’abisso, ritorna allo stato primordiale nella foresta del disincanto, regredisce in un ventre di madre senza amore.
Francesco De Masi