UN GRANDE LAVIA PER IL CAPOLAVORO DI STRINDBERG
Nonostante sia stato scritto nel 1887, la tematica di questa tragedia di August Strindberg è sempre molto attuale. La regia di Gabriele Lavia – in scena al Teatro Quirino di Roma fino al 4 febbraio – affonda letteralmente lo spettatore in una scenografia velluto rosso sangue – curata meticolosamente da Alessandro Camera – da cui fuoriesce un sentito senso di dolore che avvolge e prevale dall’inizio alla fine dello spettacolo.
In una società predominata dall’uomo, con il suo potere sociale e “legale” – ripetuto più volte – la donna riesce a ribaltare totalmente la propria posizione uscendone vincitrice. La vicenda nasce da una banale discussione familiare in un piccolo “nido” dove si innesca uno scambio di ruoli – facilmente riconducibili alle vicende nazionali e internazionali dei nostri giorni – dove un uomo e una donna si scontrano e si ribaltano fino alla distruzione.Il dubbio è il tarlo logorante di tutta l’opera che man mano scaverà un abisso di follia senza ritorno.
L’interpretazione di Lavia nel ruolo del Capitano Adolf – che fin dalla prima battuta cattura l’attenzione del pubblico, è impeccabile e riesce a rendere la trasformazione del suo personaggio palese e limpida. Ottimo lavoro da parte di tutto il cast (Giusi Merli, Gianni De Lellis, Michele Demaria, Anna Chiara Colombo. Ghennadi Gidari e Luca Pedron), e di Federica Di Martino nel ruolo di moglie senza scrupoli e senza pietà.
Tutto il recitato è volutamente lento, con tante pause e ritmo contenuto, forse un po’ troppo in 2 ore 50 minuti di spettacolo, che lacerano e consumano lentamente sia i personaggi sia gli spettatori dalla altra parte del palcoscenico.
Giuseppe Rossi