“Un azzurro che non mente più”, un dialogo con Christian Bobin
“Forse – in una poesia o in una musica – riusciamo a sentire quello che i morti sentono: la vita al suo stadio più sottile, il brusio dell’eterno. Sogno un mondo in cui le cose più delicate e le più dolorose, che spesso sono le stesse, possano sciogliersi tanto delicatamente quanto i lacci di una scarpa da bambino.”
Damien Le Guay et Jean-Philippe de Tonnac dialoga in questo prezioso libro “Un azzurro che non mente più” (pp. 80, euro 10, introduzione di Laura Campanello, traduzione di Norina Sottocornola) con Christian Bobin dalla sua casa nel bosco nei pressi di Le Creusot, parlandoci di un tema a lui caro, elemento importante della sua scrittura: il rapporto con la morte, “sorella gemella” della vita.
Bobin dialoga come scrive, con un’oralità che ha la stessa sorprendente grazia del suo scrivere e parla di un tema ancora troppo evitato. In questo libro-intervista egli ci guida in uno spazio dove ci parla di come chi è assente non cessa di essere presente, dove il lutto illumina l’esistenza di chi resta.
Il libro è stato pubblicato da AnimaMundi Edizioni con il sostegno della Fraternità di Romena: “Abbiamo deciso di collaborare alla diffusione di queste pagine – si legge nella premessa – perché siamo convinti che, per i tanti viandanti di Romena, questo scritto possa rappresentare un balsamo simile all’olio di nardo con il quale accompagniamo ogni momento speciale, e che ogni volta ci lascia addosso una scia di profumo, un’impronta di bellezza e una sensazione di indefinibile sollievo”.
E dobbiamo essere grati di questa collaborazione perché questo è un libro che arricchisce. Uno di quei momenti singolari e magici che ci restano dentro e colmano le piccole crepe delle nostre anime, ci donano una visione singolare che ci viene voglia di bere come si fa da una fonte magica. Singolare il tema, affrontato con altrettanto singolare semplicità e profondità, da uno dei più sensibili scrittori del nostro tempo.
Una vita preservata dalle influenze tossiche di un’epoca che preferisce affidare al fare le faccende della morte piuttosto che al sentire, al vivere e allo scorgere i mille modi in cui – come ci dice Bobin – la morte è il regno della grande delicatezza che può farci diventare pensatori profondi perché, in fondo, i morti alloggiano nello stesso luogo dei sorrisi e il loro è un delicato andare e venire dalle nostre vite.
Federica Scardino