Ulrike Raiser: le deviazioni per trovare la giusta via
In “Deviazioni” (Alpine Studio, pp. 227 pagine, euro 16,80) Ulrike Raiser, nata negli anni ’80, ci racconta un vissuto comune a molti: sbrigarsi a prendere una laurea, sbrigarsi a trovare lavoro, casa, compagno. Sbrigarsi a seguire una linea che sembra già tracciata, ma che poi deve fare i conti con il lavoro dei sogni che non si trova o è mal pagato e senza tutele; con il mutuo da chiedere, ottenere e pagare; con un desiderio di maternità che non necessariamente arriva per tutti.
È facile riconoscersi, specie per chi appartiene alla stessa generazione dell’autrice, e Ulrike riesce a strapparci un sorriso e a farci simpatia. È anche facile capire le motivazioni, almeno quelle iniziali, del suo viaggiare. Oltre la curiosità, oltre una sorta di pulsione interna, oltre il lasciare da parte ogni frustrazione: “Amo la dimensione del viaggio perché è liquida, ti permette di essere e non essere allo stesso tempo. Sei perché viaggiando, ti porti dietro la tua essenza, ma allo stesso tempo non sei perché nessun luogo ti appartiene e tu non appartieni a nessun luogo. E, contrariamente a quello che spesso si crede, la mancanza di appartenenza porta alla libertà. Questo è il motivo che mi spinge a viaggiare il più possibile”.
Ulrike Raiser per tutto il libro tende a sottolineare, sia in maniera esplicita sia attraverso la descrizione dei luoghi che visita, questo concetto di liquidità di Baumiana ispirazione e di flessibilità: due condizioni indispensabili per il viaggiatore che più volte tra le pagine è invitato ad abbandonare i punti fissi, i preconcetti, ad armarsi di pazienza, rispetto e a prendere quel che viene. Eccola la ricetta di viaggio, eccole le deviazioni di Ulrike che ci porta in terre splendide. Si, splendide. Le percepiamo come tali anche se non le abbiamo viste coi nostri occhi: Turchia, Marocco, Cina, Borneo Malese, Mozambico, Cuba, Iran, India, Giordania, Perù, Myanmar, Ruanda, Tibet.
Ognuna delle terre visitate, secondo percorsi più o meno “standard”, da sola o in compagnia, è un turbinio di colori, flora, fauna, parole sconosciute e volti incontrati, situazioni a volte difficili da comprendere fino in fondo e accettare per via di distanze culturali profonde.
In mezzo a tanta bellezza, l’autrice si pone domande importanti alle quali un viaggiatore è sicuramente più propenso immergendosi in realtà tanto diverse dalla propria, ma che tutti dovremmo farci, anche solo venendo a conoscenza di molti dei fatti che accadono nel mondo. Queste pagine sono un importante invito a riflettere sul concetto più vero e profondo di libertà, come questo sia legato alla possibilità di movimento, di avere un passaporto, un documento che dica, che riconosca chi sei. Il suo pensiero va spesso a chi è costretto a migrare, ma non puo’ farlo e quando puo’ è spesso additato come il nemico da combattere.
Ulrike ci invita a un viaggio consapevole, anche dal punto di vista etico e ambientale. Ma, va detto, i momenti in cui rende di più, non sono quelli in cui cerca di educarci con riflessioni personali e cenni storici. Bensì, quelli in cui il viaggio diventa pretesto per raccontarci di sé, della nonna, della sorella, di quei momenti in cui il viaggio si fa davvero sensazione e ricordo personale, anche del passato.
In tutto ciò, un piccolo glossario sarebbe di aiuto, per rendere la lettura più scorrevole da un lato e più comprensibile dall’altro. Quel che è certo, è che lascia emergere la sua passione, il suo bisogno di eterno movimento, lo stesso che abbiamo un po’ tutti noi. Non importa se come Ulisse, che viaggia per tornare da chi lo aspetta, o come Enea che viaggia mosso dalla disperazione. Quanto poco è cambiato dal mito classico. E quanto le due facce di una stessa medaglia possono somigliarsi: “I ritorni a casa e le partenze verso l’ignoto dovrebbero aiutarci a comprendere sia le somiglianze che le differenze. Perché, in fondo, ogni viaggio non è che l’itinerario dell’immaginazione verso un mondo ideale”.
Laura Franchi