“Tutto il tempo del mondo”, ovvero le cose buone richiedono tempo
In “Tutto il tempo del mondo” (add Editore, 189 pagine, 16 Euro), Thomas Girst ci ricorda una lezione tanto semplice quanto sempre più bistrattata: le cose buone richiedono tempo.
10.000 giorni, 93.000 ore, 33 anni di fatiche. Tanto c’è voluto al postino di Cheval per costruire la sua casa fatta di pietre, conchiglie e ciottoli raccolti durante i lunghi giri che faceva per consegnare la posta. Nel 2014, l’americano Thomas Hales ha risolto un problema di matematica vecchio 400 anni. Michael Ruetz ha scattato dal 1989 al 2012 quasi 300 foto dello stesso dettaglio di un’ampia valle del Chiemgau. Non c’è una foto uguale all’altra. Marcel Proust ha passato gli ultimi 13 anni della sua vita a scrivere, isolato da tutto e tutti, “Alla ricerca del tempo perduto”, sette volumi e più di 5000 pagine. Alla fine del primo capitolo del primo volume Proust impiega quasi cinque pagine per descrivere il ricordo associato a una madeleine. Questi sono solo alcuni dei racconti di Girst che passa dalla ricerca, alla scienza, al mito, all’economia alla tradizione fino all’arte di Marina Abramović, passando per la ripetitività delle enciclopedie per farci capire come e quanto il tempo sia prezioso e ancora più prezioso è saperne godere, saperlo aspettare.
La nostra società è costantemente alla ricerca della felicità, intesa come soddisfazione, immediata: espresso, zucchero, like su Facebook, pornografia, droghe, alcol. Tuttavia, Girst ci guida in queste pagine attraverso opere e scoperte che hanno fatto della lentezza, e a volte della loro incompiutezza, la massima forma di fascino e bellezza. Perché, dice Girst, “la soddisfazione immediata ci impedisce un benessere più profondo”. Girst tratteggia, dunque, un inno non solo alla lentezza intesa come attenzione all’elemento, ma all’incompiuto. Dovremmo imparare a porci davanti la vita come ci poniamo davanti a un’opera d’arte. Non importa che per l’artista sia compiuta o meno, il tocco finale spetta all’osservatore e sono corrette tutte le interpretazioni che emergono al suo occhio. Questo finisce l’opera, il tempo che le si dedica nell’osservarla, la tranquillità, il desiderio di contemplazione.
Laura Franchi