Tutti i corpi di Gospodinov
L’arte non imita la vita: è la vita che si lascia permeare dall’arte, dalla letteratura.
Il primo racconto di “Tutti i nostri corpi. Storie superbrevi” (Voland, 2020, pp. 160, euro 14. traduzione di Giuseppe Dell’Agata, illustrazioni di Luba Haleva), Autobiografie scelte, ribadisce ciò di cui ogni lettore abituale di Georgi Gospodinov è a conoscenza: l’estrema sensibilità empatica dello scrittore bulgaro aderisce alle storie, tutte le storie, vere o finte che siano.
“Ricordo chiaramente, a pelle, senza esserci mai stato, il sole fiammeggiante sugli infiniti campi di cotone della Louisiana. Ricordo sul mio palato il gusto delle madeleine di Proust e le sue briciole che galleggiavano nel tè. Ricordo come portarono per la prima volta il ghiaccio a Macondo e mio padre mi accompagnò dallo zingaro Melquìades. […] Mi manca il vagabondare per la Parigi degli anni ‘20, quella festa infinita. A volte mi macero in un pastrano bagnato nelle trincee di qualche guerra […] O mi infilo i sandali e alzo il mio scudo che brilla al sole. Mi rendo conto, probabilmente come tanti prima di me, che tra i miei ricordi personali ce ne sono molti scaturiti dai libri. La lettura produce ricordi. Da tempo non ricordo e mi rifiuto di indagare su quali provengano dalla lettura e quali no. Non percepisco nessuna differenza, tutto è stato vissuto, tutto mi fa venire la pelle d’oca, tutto ha lasciato una cicatrice.”
Tutto in Gospodinov è vita e letteratura. Il binomio è inscindibile, la vita stessa non può essere concepita diversamente. Per questo, leggere i racconti brevi e brevissimi dello scrittore bulgaro, diventa un atto di sospensione, in cui al lettore, entrando nella bolla trasparente dell’autore, viene concessa la possibilità di leggere ricordi, finzioni, passato e presente, come se il tutto vivesse in un solo tempo, stabile e immobile, appunto una bolla. Eppure, nel racconto Il passato che abbiamo davanti si opera un ribaltamento di posizioni temporali, e il passato non sta più alle spalle ma davanti a sé, verso il nostro cammino, mentre il futuro ci sta dietro, è qualcosa che non possiamo vedere ma che ci raggiungerà.
“Ci sono toccate varie vite. E non ne abbiamo portata a termine nemmeno una.” (Finora)
“Tutti i nostri corpi sono anche tutte le fasi della nostra vita, passate e future, che un giorno verranno a trovarci, silenziose, forse solo per darci la nostra posizione nel mondo e ricordarci di chi siamo” (Tutti i nostri corpi).
La mano che sbuccia la mela col coltellino non è la nostra, ma quella di nostro padre e, a sua volta, quella di nostro nonno. Noi siamo fatti del passato che ci ha preceduto (Sbucciare una mela): la presa di consapevolezza della nostra condizione esistenziale è forse l’argomento cardine attorno al quale ruota tutta la narrativa di Georgi Gospodinov, (Fisica della malinconia era, in questo senso, un perfetto labirinto in cui nostalgia e malinconia si sfioravano senza mai stridere).
Le storie superbrevi (così il sottotitolo del libro) sono in realtà presenti anche nei suoi romanzi. L’attenzione data da Gospodinov alla brevità, al frammento, è un atto d’amore. Scrive infatti nella postfazione: “Nella letteratura odierna esiste una gerarchia affermata, secondo la quale al di sopra di tutto sta il romanzo e il resto, racconti, poesia, saggi, esiste piuttosto grazie alla benevolenza degli editori e del mercato. Cosa rimane per i racconti molto brevi, frammenti e quasi-aforismi? Da essi non escono i best seller, blockbuster, sono troppo brevi. I loro corpicini di formiche non possono gareggiare con l’elefante del romanzo. Ma a me questa proprietà eversiva del delle storie brevi, questa facoltà di sgattaiolare fuori sottraendosi al giogo del romanzo, piace molto. C’è qualcosa di drammatico e al contempo di rasserenante nelle storie brevi, a causa della sincronia con la brevità dei corpi. Finiscono all’improvviso, possono essere divertenti e assurde, brusche e incerte, personali e distanziate allo stesso tempo.”
Il racconto è un corpo, sembra dirci Gospodinov: un corpo umano, sempre unico ma ripetibile all’infinito. Questo è il suo tragico destino. Nostalgia, malinconia, l’assenza di uno scopo divino, di una divinità che, se c’è, è raggiungibile solo attraverso l’ignoranza, perché se leggi sei spinto a desiderare di continuare fino alla fine di tutti i libri, e se scrivi diventi tu ogni libro scritto e letto. (L’angelo dei libri non letti)
“Mi sono rotto il piede sinistro, la caviglia sinistra, la coscia destra, il polso sinistro e la spalla destra… […] Non sono sciatore, non gioco a pallone, non guido motociclette, non scalo le rocce, esercito il più tranquillo mestiere di scrittore. Ma ormai so che la letteratura, e tutte le mie ossa lo confermano, è un gioco pericoloso. Non puoi infilarti impunemente in diversi corpi e uscirne fuori senza danni.” (Ricapitolazione)
Con “Tutti i nostri corpi”, Georgi Gospodinov si conferma come uno degli scrittori in attività più importanti a livello internazionale. La sua voce autoriale è forte, il suo universo è unico. Gospodinov è capace di parlarci del mondo e di noi stessi con rara eleganza. Le sue pagine sono brillanti, senza aver bisogno d’accecarci. Georgi Gospodinov è “un asceta verbale” (come scrive l’editore in quarta di copertina), che ci permette di mettere ordine in noi stessi, di ricordarci che la nostra parabola è viva solo se posta nel giusto ordine cronologico esistenziale.
“Solo l’effimero è eterno.”
Giovanni Canadè