Tripudio di pubblico per “Brevi interviste con uomini schifosi” al Teatro India
Continua il successo dello spettacolo teatrale “Brevi interviste con uomini schifosi”, che in occasione della sua permanenza romana, dall’8 al 13 febbraio presso il Teatro India, ha registrato in poche ore il sold out. Un’opera impastata di ilarità e grottesco, approdata in scena grazie al drammaturgo e regista argentino Daniel Veronese, insieme alla traduzione di Aldo Miguel Grompone e Gaia Silvestrini.
Il pubblico si ritrova risucchiato da un quadrivio di episodi e sensazioni inquietanti, estrapolati dalla penna geniale di David Foster Wallace, e affidati agli attori Paolo Mazzarelli e Lino Musella, instancabili e affiatati, nell’alternare i due ruoli, maschile e femminile, in un dialogo serrato. Una trasposizione teatrale strutturata a mo’ di botta e risposta, che recupera e rivisita con cura la tecnica dell’intervista adoperata da Wallace, potente nel mostrare il campionario di umanità e tutta la sua carovana di aberrazioni. Nella raccolta di monologhi dell’autore americano non vengono mai rivelate le domande: è attraverso le risposte che ipotizziamo la discussione completa. L’intervistatrice – intuiamo che è una presenza femminile, sempre la stessa – riprende i discorsi di una ventina di uomini, interrogandoli a proposito del loro relazionarsi con le donne. Gelosia, desiderio di possesso, violenza, cinismo sono i protagonisti dei rapporti descritti, affidati all’avvincente duo Mazzarella-Musella che si muove a piedi nudi all’interno di una scenografia spoglia, essenziale nella sua linearità. Spostano a vista oggetti di scena, anche le loro pause son ben calibrate e conferiscono un ritmo deciso al racconto, con tanto di campanello da reception suonato alla fine di ogni storia, mentre i due si passano il copione, da una parte all’altra del tavolo, come una palla da tennis nel bel mezzo di una partita. La percezione che si avverte è di fastidio, imbarazzo, davanti alla galleria di questi uomini odiosi, colpevoli di una incapacità comportamentale nei legami con l’universo femminile. È il caso del focomelico Johnny Moncherino, che sfrutta la sua menomazione per portarsi a letto le sue “prede”. Il linguaggio è crudo, a volte addirittura viscido, non c’è il fascino del cattivo, piuttosto individuiamo tutte quelle fragilità nascoste, le insicurezze, le “schifosità umane”.
Volgari, molesti, misogini, psicopatici. Comunque pur sempre uomini, per i quali ancora è possibile una redenzione. Lo “schifo”, quindi, è la loro vera malattia, e il modo per liberarsene è quello di contagiare l’altro, per non sentirsi i soli e provare questa sorta di disarmonia affettiva. Eppure le parole di Wallace non sono mai accompagnate da un qualsivoglia giudizio morale che faccia luce sul lato più meschino e animalesco dell’individuo. Proprio per questo tali parole riescono ad essere universali, ad indagare l’animo umano, osservandone in profondità i vizi e le perversioni, specialmente del comportamento maschile. È come se questi ritratti ci offrissero degli specchi in cui provare a riconoscere i nostri nei, le nostre colpe e le nostre responsabilità. Sono uomini che soffrono, ma allo stesso tempo di questo dolore ne fanno un uso inappropriato, riversandolo sulla donna.
Uno spettacolo intenso, arguto, che propone delle riflessioni attorno ad una cultura della questione di genere, oggi, ancora zoppicante, nonostante le numerose campagne di sensibilizzazione rivolte alla tematica. È dimostrato infatti che abusi e violenze sono spesso il risultato di un sistema dove entrano in gioco ruoli di genere costruiti culturalmente. E quando il teatro si configura come uno dei luoghi in grado di favorire un prolifico aumento di consapevolezza sul tema, tanto da poter creare le premesse della costruzione di una responsabilità collettiva, è prezioso, un vero dono.
Diana Morea
Foto Marco Ghidelli