“Tre giorni di Luna Calante” al Teatro del Cestello di Firenze
Chissà quanta fatica sarà costata a Maurizio Pistolesi riuscire a trasformare il suo inconfondibile accento dell’Oltrarno fiorentino nella strascicata burinesca cadenza dell’agro Pontino. Eppure ci convince e ci affascina con quella sua mimica unica, con i muscoli facciali che guizzano nelle teatrali movenze. E non è il solo, è in buona, buonissima compagnia perché tutti gli altri suoi compagni d’avventura in questi “Tre Giorni di Luna Calante” di Marco Giavatto per la regia di Samuel Osman – in scena al Teatro del Cestello di Firenze sino al 20 aprile, sono a dir poco bravi, insuperabili nei tempi scenici, nelle pause e nei gesti, nell’aggrovigliare i fili della storia, nel dipanarli, trasformarli e nel farlo, riuscire a stupire.
In fondo una storia semplice, Tiberio Rivoli vive da solo in una grande villa con il suo unico maggiordomo Camillo; forse la solita storia del servo maltrattato che si vuole vendicare del padrone odiato e arrogante ma… gli eventi precipitano, arrivano alla villa importanti personaggi per una riunione segreta e ad alto livello dove si dovrebbero decidere le sorti sociali, civili e tecnologiche della Nazione. E allora, cosa accadrà nella villa? Chi sarà vittima e chi carnefice? Cosa sarà giusto e cosa sbagliato? Tutta la storia si increspa e si evolve con un ritmo serrato, veloce, incalzante con l’immancabile colpo si scena finale, confuso, immerso in una atmosfera di Hitchcockiana memoria.
Nell’applauso meritato per tutta la compagnia, forse la sola nota stonata è nella scenografia. L’ottimo lavoro di Giavatto avrebbe meritato di più.
Francesco De Masi