“Transito”, storia autorizzata di una cicatrice visibile
Aixa de la Cruz, scrittrice nata a Bilbao, con Transito (Giulio Perrone Editore, pp. 127, euro 15), in Spagna ha vinto il Premio Euskadi de Literatura en castellano 2020.
“Insisto che le barriere tra la cronaca, le memorie, l’autofiction e la fiction sono inesistenti perché scrivere è ricordare e ricordare è sempre un atto immaginativo. Scriviamo per lasciare traccia di chi eravamo un istante prima, quando ci siamo seduti davanti al programma di scrittura e siccome non abbiamo indizi, inventiamo. A volte siamo parassiti della creatività altrui, ci appropriamo del passato perché ci includa.”
Aixa de la Cruz arrivata ai trent’anni raccoglie e racconta alcuni dei momenti più significativi della sua vita: l’incidente stradale di una cara amica, il divorzio, il non rapporto con il suo “biopadre”, le colpe che attribuisce alla madre, i viaggi, gli anni vissuti all’estero, i rapporti sessuali con altre donne.
Un mix potente e diretto tra più generi narrativi che rispecchiano una personalità complessa e che per sua stessa ammissione è il risultato di tutti coloro che l’hanno contaminata, una persona fatta di prestiti e di furti.
Sono altrettanto potenti le tematiche messe sul tavolo, con freddezza e una schiettezza tali che fanno scattare una certa empatia per l’autrice che combatte col senso di colpa, con le idee che cambiano. Patriarcato, violenza. Il sesso come potere di chi lo esercita, il sesso subito. Il corpo come strumento di un potere terribile e irresponsabile, una droga che il tuo organismo non filtra, questo è per la scrittrice scoprire che la gente ti desidera, specie se hai 23 anni.
Il femminismo come affermazione e rivendicazione di genere, non necessariamente quello femminile.
“Io volevo smettere di essere una sorella (…) pensavo che tutte le cose divertenti sono virili e tutto ciò che non lascia traccia è femminile, e odiavo che mi incasellassero nel secondo gruppo.”
Uscire da una eterosessualità percepita come obbligatoria e che condizione e limita la transizione verso l’età adulta, allontanarsi dal concetto di “donna” come costruzione culturale.
“Non combacio con il mio personaggio. Sono questa voce flautata, questo sorriso nervoso e questi tacchi da donna che nessuno capisce che sono un travestimento. La drag queen più carina dello show.”
Figlia delle paure di sua madre, ci racconta il suo personale dolore, quello più tollerabile quando si è soli, quello che si allontana solo con altro dolore. La sua personale storia, quella che vorrebbe poter emendare, ogni volta che capisce che le conferme ci sorprendono tanto quanto le scoperte, che a essere intollerabile è ciò che è infrequente.
Più a suo agio come colpevole che come vittima, con la confessione piuttosto che con la testimonianza, Aixa si mette a nudo svelandosi come un essere meravigliosamente umano che funziona a impulsi che se non obbediti all’istante, si disperdono e afflosciano ogni motivazione, giusta o sbagliata che sia, presente o passata, reale o presunta. Un transito perenne tra dentro e fuori, tra chi si è e si vorrebbe essere (stati). Una cicatrice in divenire.
“Mi pento adesso dei postumi di domani. Tutto si consuma con l’uso.”
Laura Franchi