Tra Ricordo e Oblio: La Delicatezza di “Il Grande Vuoto”
È in scena al Teatro Bellini di Napoli dal 5 al 10 novembre “Il Grande Vuoto”, ultimo capitolo della Trilogia del Vento di Fabiana Iacozzilli. Protagonista è il declino verso il vuoto, la memoria che si fa a brandelli, il disfacimento degli affetti, in una rappresentazione dolce e brutale. Un viaggio attraverso l’invecchiamento e l’oblio, in un ritratto intimo di famiglia dove passato e presente si confondono, mentre il dolore cerca, disperatamente, di trasformarsi in bellezza. Non è mai nominato esplicitamente il signore del vuoto, l’Alzheimer, ma suggerito nel progredire della malattia attraverso gesti, ricordi e scene quotidiane.
Sul palco, all’apertura, ci accoglie una piccola automobile, vecchia e vissuta, complice di tante avventure dell’anziana coppia. Diventa simbolo di una lunga vita insieme, oggetto quasi magico, una sorta di rifugio temporaneo, che quando sparisce lascia una indifesa signora, interpretata con intensità da Giusi Merli, nella dura realtà del presente. Il marito (Ermanno De Biagi) sfuma nei ricordi.
La regia di Fabiana Iacozzilli unisce teatro e video, creando un effetto di straniamento e intimità allo stesso tempo. Attraverso uno schermo su cui scorrono immagini in bianco e nero di vecchi interni domestici, assistiamo a scene di vita non-sense, sia per noi che per la protagonista: sembra una telecamera che vuole spiare nella sua vita come nella sua testa, senza trovare un filo. Come narra anche il monologo della figlia con voce avvilita e sconfitta: chissà che cosa lei starà pensando, sentendo, quali percezioni la toccano, quali emozioni la attraversano. Il grande vuoto è reciproco, nella non comunicabilità dei due ruoli, della donna malata e isolata nel proprio universo mentale, e della figlia che vede fallire tutti i tentativi di avvicinarsi alla madre.
La scelta registica amplifica la sensazione di disorientamento che la malattia porta con sé: i confini tra realtà e ricordo si assottigliano, mentre la protagonista, in preda a un’improvvisa iperattività, svuota gli scaffali della sua casa, e con essi della sua vita. La mamma è un personaggio candido, smarrito, che ripete le stesse azioni con una grazia disarmante, senza mai perdere una sorta di dignità tragica. Al suo fianco, la figlia forte e ribelle, interpretata da Francesca Farcomeni, è intrappolata in un vortice di amore, rabbia e disperazione, attraversando tutte le fasi dell’accettazione del dolore. I personaggi vicini, il figlio Piero Lanzellotti e Mona Abokhatwa nel ruolo della badante, aggiungono sfumature e umanità al quadro familiare.
Non lo so se il dolore si può trasformare in bellezza, forse, come in tutte le trasformazioni, non sono mai definitive, ma preludono ad altre. Metà della sala era senza fiato, l’altra evidentemente scossa, nel veder rappresentare uno degli incubi più grandi di una società votata all’invecchiamento massiccio, in cui il rischio di malattie degenerative è un destino imprevedibile. La bellezza che ho visto era la determinazione a esserci, a stare in contatto, a stare con quello che c’è con umiltà e forza, e anche senza forza ma con amore. Accettare il dolore, e accogliere l’altro, che non è più come ce lo ricordiamo, ma c’è.
Fabiana Iacozzilli e la dramaturg Linda Dalisi riescono a creare una drammaturgia profondamente empatica, che non chiede necessariamente di comprendere o decodificare, ma anche solo di osservare e accogliere.
“Il Grande Vuoto” è una potente riflessione sulla fragilità della memoria e sulla resistenza dell’animo umano.
Brigida Orria
Foto di copertina di Laila Pozzo