Torino, torna “La storia degli orsi panda raccontata da un sassofonista che ha un’amichetta a Francoforte”
C’è un autore contemporaneo che merita di essere conosciuto. Una piacevolissima scoperta, davvero una gradevole rivelazione. Si tratta di Matei Visniec: drammaturgo, poeta, giornalista rumeno classe 1956. Noi abbiamo visto la resa teatrale di un suo testo grazioso, cosmico, lento e fantastico: “La storia degli orsi panda raccontata da un sassofonista che ha un’amichetta a Francoforte”, scritto nel 1994. Un titolo che è già tutto un programma narrativo, una sinossi precisa e limata come l’istantanea appena sfocata di un nucleo esploso con calma oltre i confini di un atomo. Un testo meravigliosamente indolente ma comunque scivoloso, rilassato ma scorrevole, lento di quella lentezza poeticamente intendibile che porta gli spettatori di questo secolo a riflettere su quel dinamismo autoimposto che ormai riguarda e annichilisce tutti.
Un sassofonista si sveglia una mattina. Sotto le lenzuola con lui, in una stanza che è anche un bosco, c’è una fanciulla giovane, bella e ambigua. Hanno fatto l’amore? Pare di no. Eppure sono nudi nello stesso letto. Lei gli racconta di averlo conosciuto la notte precedente, all’inaugurazione del nuovo locale di un amico di lui, tale Kiki: lei è rimasta colpita da come lui suonava il sassofono, si sono parlati e lui l’ha conquistata recitando Baudelaire. Per lui questa storia non quadra: non conosce nessuno che si chiami Kiki e non ha mai letto niente di Baudelaire. Solo il sassofono sembrerebbe plausibile, ma la sera prima lui non lo aveva con sé. Lei allora si presenta: Solange, Elizabeth, chiamami come vuoi, non conta il nome, sono altre le coordinate importanti. Lui, comunque, rimane affascinato, fulminato, colpito. Lei fa per uscire. Lui le propone di accompagnarla ovunque, non vuole perderla, sente di avere bisogno di quella ragazza. Lei allora gli concede nove notti. Nove notti per conoscersi, per capire, per percepire la realtà oltre il velo, per cogliere l’essenza apparentemente effimera di un mondo troppo concreto: un percorso spirituale, quasi ascetico, tutto in salita. Lui promette di aspettarla dopo ogni crepuscolo, non uscirà mai di casa perché ormai il suo obiettivo è lei. In quel momento lui esiste attraverso l’attesa di lei. Ogni notte una storia, un aneddoto, una perla. Ogni capitolo un dialogo di simboli, considerazioni, filosofie. Lei lo guida verso una sorta di empireo inenarrabile, lui le spiega cosa vuol dire essere umani. Lui impara molto da lei, ma anche lei finisce per apprendere qualcosa. Come Beatrice e Dante, come Laura e Petrarca: le donne illuminano gli uomini. Ma qua tutte le rivelazioni sono scambievoli, vicendevoli.
La produzione dello spettacolo è stata curata da Cubo Teatro di Torino, ma le quattro repliche – dal 20 al 23 febbraio – si sono svolte in una cornice molto più suggestiva, più seducente: l’ex Cimitero di San Pietro in Vincoli, in Borgo Dora. La regia è di Girolamo Lucania, uno dei direttori artistici di Fertili Terreni Teatro, la stagione che raccoglie Cubo, Cimitero di San Pietro e Bellarte-Tedacà e che già l’anno scorso aveva proposta La storia degli orsi panda. Sul palco, due interpreti freschi e splendidi: Jacopo Crovella e Giulia Mazzarino. Encomiabili entrambi, lui per lo slancio verso un personaggio come la mano nel guanto perfetto, lei per una dizione e una gestualità impressionanti. Colpiscono poi le scene oniriche di Silvia Brero, che ha opportunamente selezionato anche i costumi. Efficacissime, infine, le luci, di cui si sono occupati lo stesso Lucania con Yuri Roà.
Davide Maria Azzarello