Torino: il Lovers Film Festival che avanza nonostante le defezioni
Si è conclusa ieri, domenica 25 ottobre, la 35a edizione del Lovers Film Festival, la kermesse cinematografica torinese che, grazie ad Ottavio Mai e Giovanni Minerba, dall’86 propone pellicole a tematica LGBT(QIA…). Il più antico d’Europa, terzo nel mondo, negli anni ha coinvolto parecchi registi autorevoli come James Ivory, Gus Van Sant, Gregg Araki e Ken Russell. Quest’anno la direzione artistica è stata affidata a Vladimir Luxuria, che per ragioni arcinote si è ritrovata in un’edizione sicuramente estenuante, difficile da plasmare non tanto per la selezione dei trentadue film, quanto in termini di incontri fisici coi registi e con gli addetti ai lavori. La madrina doveva essere Gina Lollobrigida, la quale però non ha potuto partecipare per via di un lieve malessere che, a novantatré anni e con una pandemia in corso d’opera, per quanto lieve va comunque preso in considerazione. Ma quella della donna più bella del mondo non è stata l’unica defezione: anche Garrone, che doveva dialogare con Luxuria venerdì sera, all’ultimo ha dato forfait con un videomessaggio. Presenti all’appello, invece, Luca Tommassini, Achille Lauro e il senatore Zan.
Venerdì sera la direttrice è salita sul palco della Sala Cabiria del Cinema Massimo e si è scusata, raccontando ad un pubblico distanziato e mascherato che comunque organizzare eventi come il World Pride a Roma è stato decisamente più facile. Un minuto di silenzio per le vittime del Covid, e dopo i vari ringraziamenti di circostanza agli assessori e al fondatore Minerba e così via, si è passati a 7 minutes di Ricky Mastro, ma non prima dell’intermezzo comico di Daniele Gattano. Il film italofrancese di Mastro indagava gli aspetti postribolari di una Tolosa contemporanea dove talvolta i giovani omosessuali muoiono per abuso di stupefacenti: la storia viene raccontata dal punto di vista di un poliziotto di mezz’età, il cui figlio muore per overdose assieme al suo compagno. Poi il poliziotto scopre la discoteca dove il figlio andava a divertirsi e lì s’invaghisce di un fanciullo bello e scapestrato che ricorda pericolosamente proprio quel figlio morto per aver ingerito troppo GHB. La trama aveva il suo perché, ma c’era poca tensione, poca capacità di avvincere lo spettatore, che quando capiva dove andava a parare la trama purtroppo si perdeva nella stessa. Molti più applausi, invece, per Futur Drei (No Hard Feelings) dell’esordiente Faraz Shariat, che ha raccontato la realtà di Parvis, figlio di iraniani esiliati che vive in Germania e lavora in un centro per rifugiati dove s’innamora di un altro iraniano.
Davide Maria Azzarello