Torino è aperta per ferie: Pestelli torna sul palco dopo la pandemia
Torino, via Perrone 3bis. Per gli indigeni appassionati dal cantautorato, un luogo arcinoto, una garanzia, un tempio. Siamo, ovviamente, al Folk Club, che nonostante tutti i vari impedimenti dirimenti del governo, ha potuto proporre una stagione, degli ospiti, della musica dal vivo. Certo, non senza qualche scomoda limitazione (soprattutto in termini di posti), ma ci si accontenta e anzi, per carità, si ringrazia. D’altronde, sono più di trent‘anni che il Folk Club sta in piedi, prima con Franco Lucà e ora col figlio Paolo, e quindi non ci si poteva certo arrendere di fronte ad una pandemia.
E perciò venerdì 17 ottobre ci si è incontrati con Carlo Pestelli (Torino, 1973) che per la verità forse più di tutti noi lì al Folk è di casa, tanto che prima del successo lo si incrociava fra il pubblico. Ora invece, e non per la prima volta, Pestelli è salito sul palco per recuperare la data annullata di marzo e per proporre le sue sfarfallature, gli scherzi seriosi, le paronomasie, il gesto del teatrante, il pentagramma impetuoso e straripante. Il disco che Pestelli presenta è Aperto per ferie, una decina di poesie futur-dada dove spesso le frasi implodono per cedere il posto a tante, innumerevoli parole accatastate come ninnoli in una cristalleria; rime interne, rime sbagliate; e con grazia ci si disinteressa al filo logico del discorso, non perché non ce ne sia uno, ma perché la dialettica che impera è quella che da tempo immemore ormai funziona quasi in ogni arte: il flusso di coscienza disordinato, impavido, allitterante, divertito, egoriferito ma talvolta comunque votato ad un lirismo quasi crepuscolare. E il disco, per il pubblico disinibito e originale cui Pestelli s’indirizza, è sicuramente una mozione lodevole, riuscita, stimolante, dove l’ironia si sovrappone a tutt’una serie di tematiche magari anche gravi, spinose, in un inerziale ma vivido intreccio di ampolle alleggerite e autorevoli leggerezze. Tanto che risulta complesso estrarre uno o due titoli da consigliare: la narrazione della raccolta è un unico zampillo tratteggiato di periodi spiritosi, diversivi linguistici e diluizioni escatologiche travestite da quisquilie cervellotiche. Insomma va ascoltato tutto, così da capire, afferrare, ed eventualmente, come nel nostro caso, apprezzare. E possibilmente bisogna affrontarlo dal vivo, perché Pestelli non canta, lui sa recitare e quindi interpreta da seduto ispirandosi chiaramente a quella prestigiosa tradizione italiana che individua un filone a sé nel cantautorato colto di Gaber, Jannacci, Lolli, Guccini e così via. In questo senso, nonostante i lustri trascorsi, qui c’è sicuramente un afflato proprio verso quell’elogiabile girone forse un po’ sinistrorso o comunque schierato di poesie impegnate e musicate per raggiungere un pubblico che non sia esiguo. Perché da questa parte abbiamo capito alcune cose e bisogna che le spieghiamo, che si diffonda il verbo.
Davide Maria Azzarello