TITU ANDRONICU – storia di una mutazione con la regia di Daniele Monachella
Mauro Piredda – giornalista e studioso di tradizioni orali sarde – traduce in Limba sarda comuna (fino ad ora usata solo nei documenti ufficiali della Regione Sarda) l’adattamento che nasce dall’attento e lungo studio di Daniele Monachella – sulla scena nelle vesti del crudele Aronne – in collaborazione con Mab Teatro – che ne cura la Produzione col contributo della Fondazione di Sardegna – sull’opera shakespeariana The Tragedy of Titus Andronicus.
Dall’antica Roma ci ritroviamo a Dominariu (dal latino “Ciò che è sospeso sulla testa di qualcuno” – in sardo “casa padronale, luogo ameno isolato”). Essere sotto il dominariu- significava essere alla sua totale mercé, sotto il suo dominio; da qui la sua evoluzione semantica moderna., un non-luogo multimediale devastato e arido che delinea i confini ideali dell’isola di Sardegna. Il tema portante è ricavato dalla società contemporanea, lì dove il potere non è mai troppo e gli animi infimi e violenti navigano nella degenerazione assoluta: la corruzione. Un fenomeno dalle radici lontane e che attraversa un caos riproposto ciclicamente, dove l’uomo si trasforma assumendo fattezze sempre più mostruose e violente.
Sulla scena e sulle immagini a video, le membra vive e il sangue – nella lotta per il trono tra Saturninu e Bassianu e nella vendetta di Tamora (Valentina Sulas), regina del regno di Intragnas (dal sardo “trama, viscera, maligno, perversione”) nei confronti del generale Titu Andronicu mostrano una feroce brutalità resa ancora più impetuosa dalla fermezza e dal suono gutturale della lingua sarda. Sull’elmo – che sulla scena ricopre il capo di Titu, ideato e ispirato dalle statue dei Giganti di Mont’e Prama – si innalzano rami di corallo che diventeranno un prezioso abbellimento per Lavinia (Manuela Ragusa), dopo la terribile mutilazione subita da parte di Demetriu e Chirone. Il corallo assume, quindi, una valenza apotropaica e Titu se ne priva – dopo averlo indossato per quarant’anni sul campo di battaglia – per donare conforto alla propria figlia oramai priva di lingua e mani.
“I ramoscelli freschi sono ancora vivi ne assorbono nel midollo la forza e a contatto con il mostro si induriscono, assumendo nei bracci e nelle foglie una rigidità mai vista”. (Ovidio, “Metamorfosi”, IV, 740-752)
La scena – dove si muovono i quattordici attori – si presenta con un grande impatto metafisico. Grazie ai contrasti di luce disegnati da Tony Grandi e alle innovative animazioni digitali curate da Diego Ganga, questo spettacolo si avvicina a un originale esperimento cinematografico che si fonde sapientemente alla prosa originaria.
Le scenografie essenziali ed efficaci sono realizzate dalla visionaria mente di Marcello Scalas e la drammaturgia sonora è curata da Francesco Medda Arrogalla, che intreccia suoni arcaici e folclore sonoro alle risonanze elettroniche.
La prima nazionale ha debuttato al Teatro Massimo di Cagliari – Sardegna Teatro, mentre i prossimi appuntamenti sono il 27 e il 28 ottobre al palazzo di Città di Sassari.
Marianna Zito