“The name of this band is Smile”: l’esordio della band torinese tra indie rock e post punk – L’intervista
Il 26 marzo è uscito “The name of this band is Smile” (Subjangle/Dotto), l’album di debutto della band torinese Smile formatasi nel 2019 e composta da Michele Sarda alla voce, Hamilton Santià alla chitarra, Francesco Musso alla batteria e Mariano Zaffarano al basso. Indie rock cantato in inglese con accenni jungle e post punk, questo è il sound che gli otto pezzi del disco offrono. I singoli estratti fino ad ora sono stati “Every new mistake”, “Just so you know”, “Time to run”, “From here on” e infine “Broken kid”, uscito in contemporanea con il disco. Andiamo a scoprire qualcosa in più di questa promettente band.
Vi siete formati nel 2019 e da poco è uscito il vostro primo disco, in quanto tempo avete composto e registrato i brani?
Facendo un calcolo approssimativo, le canzoni dell’album hanno preso forma in poco più di un anno. Aggiungiamo 7-8 mesi tra prove intermittenti, registrazioni, promozione e all’incirca eccoci qua. Essendoci trovati subito molto bene tra di noi, siamo andati parecchio spediti. Senza Covid ci avremmo messo ancora meno.
Quali sono i vostri prossimi progetti, state lavorando a nuovo materiale?
Suonare dal vivo recuperando tutto il tempo perso a causa della pandemia, rodare sul palco e in sala prove i pezzi nuovi a cui già stavamo lavorando e che erano in fase di ultimazione. Lo stop forzato ci ha colti in un momento in cui avevamo parecchia carne al fuoco.
“Broken kid”, il vostro ultimo singolo, è una canzone che racconta di come la vita sia una lotta continua, ma termina con i versi “go on with all your wishes, go on, go on I’ll see you there”, una luce esiste sempre secondo voi? Qual è la vostra, che vi fa andare avanti nei momenti di difficoltà?
La protagonista di Broken Kid è stremata da tutta l’emarginazione subita, da tutti i giudizi e le sentenze emesse dalle persone intorno a lei, che non sanno gestire la sua diversità. Nel bridge dice quelle parole perché sente un moto d’orgoglio: se è questo il mondo che vedete, se volete riempire il tempo che vi è concesso in questa vita giudicando, liquidando, escludendo ciò che devia dalla norma e desiderando il male per gli altri, beh, fate pure, accomodatevi, ci vediamo più avanti lungo la strada. Io la mia luce non la spengo perché voi non riuscite ad affrontarla, non ho neanche intenzione di ridurne l’intensità. D’altronde: “there is a light that never goes out”. La luce che ci fa andare avanti anche nei momenti di difficoltà è quella che ci spinge a comunicare, a cercare senza sosta il senso delle cose.
C’è un brano in particolare a cui siete legati del vostro disco?
Siamo legati a ogni brano per motivi diversi, se dovessi sceglierne un paio in questo momento direi From Here On, il pezzo di chiusura dell’album, la cui stesura coincide con il primo momento in cui ci siamo resi conto che stavamo creando esattamente ciò che volevamo nel modo che volevamo e poi Time to Run, nata e ultimata nell’arco di circa un’ora.
Come avete scelto la copertina di “The name of this band is Smile”?
Volevamo amplificare il senso di disagio urbano che permea i nostri pezzi e che deriva in parte dalle nostre riflessioni su come il capitalismo influenza la vita di tutti i giorni. Abbiamo girato un po’ con i nostri amici Andrea Bracco e Andrea Sassano per varie location che pensavamo facessero al caso nostro, ma arrivati davanti al vecchio Palazzo del Lavoro, costruito per le celebrazioni del centenario dell’unità d’Italia su progetto dell’architetto Pier Luigi Nervi, abbiamo percepito l’energia giusta. Io e Andrea Bracco ci siamo intrufolati e lui ha scattato diverse foto meravigliose tra cui quella della copertina.
Come avete scelto di chiamarvi “Smile”?
Il nome è l’aspetto della band su cui abbiamo speso più tempo: ci abbiamo pensato, ripensato, fatto proposte e controproposte senza che nessuna soddisfacesse tutti. Abbiamo poi trovato un compromesso su un nome apparentemente semplice ma che ci rappresenta al 100%, perché sfugge agli algoritmi, fa sì che se ci vuoi trovare ci devi cercare sul serio e a quel punto andrai più facilmente in profondità, capendo che sotto le melodie, gli arpeggi e i ritmi serrati ci sono temi su cui non vogliamo scherzare per niente.
Avete in mente di presentare il disco con un concerto in streaming o con delle date dal vivo, situazione permettendo?
Ci piacerebbe partire ora, seduta stante, per un tour di un anno. Siamo una band che ha bisogno di volume, della ruvidezza dei locali. Non abbiamo mai pensato allo streaming. Speriamo di annunciare presto qualche data.
Roberta Usardi
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