“Tavolo numero sette” di Darien Levani
“Nessuno conosce la risposta giusta, nessuno può averne esatta cognizione, forse neanche esiste una risposta giusta. Alcuni affermano di saperlo, ma confondono la loro opinione con la verità. Io agisco sulla base di prove, testimoni, logica, sofferenza e dubbi. Io mi colloco tra l’ipotesi e la realtà”.
In “Tavolo numero sette”di Darien Levani (Edizioni Spartaco, 2019, pp. 215, euro 13), un tranquillo paesino, Castelbuono, diventa il teatro di un efferato delitto. Vengono, infatti, uccise due donne, madre e figlia all’interno della loro abitazione. L’opinione pubblica è in fermento, soprattutto dopo aver individuato il presunto assassino, inspiegabilmente assolto dal giudice Camillo Bordin, che avrebbe dovuto condannarlo. Da quel momento, il giudice, per l’opinione pubblica, è più colpevole dell’assassino assassino stesso.
Il romanzo si svolge durante un banchetto di nozze che ha tra gli invitati lo stesso giudice, assegnato al tavolo numero sette. Inizia il pranzo e chiaramente, l’argomento di discussione è il delitto, ma soprattutto la sentenza. Palese è la descrizione di una giustizia italiana, molto somigliante a un reality, che fa acqua da più parti. E proprio come un reality, diventa urgenza la risoluzione veloce dell’enigma, affinché la società possa ritornare a dormire sonni tranquilli, quasi snobbando gli organi competenti. Ma il giudice Bordin, con la pacatezza che lo contraddistingue e che farebbe impallidire il più perfetto degli aplomb inglesi, inizia pazientemente ad argomentare i fattori che hanno determinato la sua scelta, che consiste nell’assoluzione del presunto colpevole. Il giudice fa una sorta di inno alla giustizia, quella vera e non quella populista: sviscerando il processo, lo ripercorre a posteriori e, insieme ad esso, anche tutto il sistema giuridico. Per toccare concretamente la soluzione si finisce per arrivare alle ultime pagine del romanzo, che mantiene la suspence fino alla fine.
Il linguaggio è tecnico e complesso ma nel profondo, è logico. Mafia e giustizia vengono affrontati davvero dal nucleo e smembrati alla luce del sole. “Lo Stato è solo un’idea condivisa.[…] La nostra lotta contro la mafia sarà ancora lunga. Perché la mafia non è semplicemente un sistema finalizzato alla violenza o all’arricchimento. È una struttura finalizzata a governare, la violenza è solo il mezzo e non il fine” .
Bordin, in questo contesto, rappresenta la giustizia ma, quasi al capolinea di quella che chiamiamo ancora vita, fa una considerazione che lascia tutti basiti perché fa cadere quel velo che ognuno di noi si ostina ancora a portare davanti agli occhi, “avere questa strana sensazione, che alla fine la vita ti ha fregato“. Ma la soluzione dell’enigma, lo spettacolare colpo di scena, è ciò che non ha rivali – e dunque, affrettatevi a leggerlo.
Marisa Padula