“TAMBURI NELLA NOTTE” AL TEATRO ELFO PUCCINI
Si aggira da un quartiere all’altro, ha gli occhi scuciti e la pelle bruciata, ma il cuore non ha smesso di battere. Il suo nome, Andrea Kragler, è rimasto muto per quattro anni: tanti ne sono trascorsi dall’inizio della guerra, e dal fronte non sono mai arrivate sue notizie. Prigioniero in terra africana, si è aggrappato al ricordo di Anna Balicke, la sua fidanzata. Ora la guerra è finita, i coniugi Balicke hanno spinto la figlia tra le braccia di uno spasimante più ricco, i tempi sono di minuto in minuto più incerti e Kragler si trova ad essere (forse) l’unico ancora in vita in mezzo agli spettri che si rincorrono alla luce della luna, tutti sicuri di stare dalla parte del giusto in una città sul punto di squarciarsi come il guscio di un uovo dal gigante tuorlo rosso.
In “Tamburi nella notte” un Bertolt Brecht poco più che ventenne sceglie la Berlino nel pieno della rivolta spartachista come ambientazione per una storia d’amore che deraglia sia dai cardini del dramma sia da quelli della commedia. Ambiguo, anticonvenzionale, ruvido nel passare sotto il rullo gli alibi individuali e collettivi, questo lavoro è perfettamente in grado, ancora oggi, di dare la scossa al pubblico. Dopo il debutto al Teatro Filodrammatici di Milano nell’ottobre 2017, la versione scenica curata da Emanuele Aldrovandi per la regia di Francesco Frongia (assistito da Giacomo Ferraù e Giampiero Pitinzano) è approdata alla sala Fassbinder del Teatro Elfo Puccini dal 25 febbraio al 10 marzo 2019. A popolare la scena un gruppo di undici fra attrici e attori: Luigi Aquilino, Edoardo Barbone, Denise Brambillasca, Gaia Carmagnani, Eugenio Fea, Ilaria Longo, Simone Previdi, Alessandro Savarese, Valentina Sichetti, Irene Urciuoli, Daniele Vagnozzi; tutte e tutti giovani nonché di grande bravura, capaci di scintillare nei costumi di Erika Carretta e nel disegno luci di Fabrizio Visconti.
Le sedi dei giornali bruciano, si spara nelle strade e il rombo dei cannoni che si avvicina fa presagire l’imminente repressione, ma nella Berlino bene si ascolta musica, si vuotano d’un fiato bicchierini di kirsch, si commenta con stizza il rincaro delle albicocche sul mercato. La colpa, per tutto ciò che è storto nella società, è indirizzata altrove: secondo il signor Balicke (uno strepitoso Eugenio Fea), “un’ondata di disordine, di avidità, di immonda bestialità si è rovesciata sulle nostre oasi di pacifico lavoro”. Sua moglie Amalia (interpretata da Denise Brambillasca), dal canto suo, si fa scudo delle parole pronunciate dal Kaiser “Bisogna essere forti nelle avversità”. Grazie anche alle aggiunte rispetto al testo originale (molto efficace, in tal senso, l’introduzione del personaggio di Rosa Luxemburg), emergono le contraddizioni della guerra, tra chi ne ha fatto le spese e chi invece ne ha ottenuto notevole profitto, e le cicatrici di una pace che promette a tanti ma mantiene a pochi. Tanto più rivoluzionario quanto meno compiacente a ciò che ci si aspetta da lui, il reduce (Edoardo Barbone) non si lascia più pronunciare dalla bocca degli altri, volta le spalle, abbraccia come unico orizzonte – mentre è color sangue tutto il resto del cielo – il desiderio di vivere con la donna di cui è innamorato.
Pier Paolo Chini