Supernatura: pensieri intorno a un atto di resistenza. Intervista ad Annamaria Belloni
Abbiamo incontrato Annamaria Belloni, in occasione dell’uscita del suo libro fotografico “Supernatura”, pubblicato nel maggio 2021 dalla casa editrice Postcart. L’opera si compone di un testo che porta la firma della stessa autrice, e di trentatré immagini realizzate in diverse città: dall’Appennino emiliano ad Atene, da Kyoto a Tallinn, Innsbruck e altri luoghi ancora per giungere fino alle Sorgenti del Reno. Lo scenario rappresentato ed evocato va ben al di là di ciò che può essere detto e pone infinite suggestioni e domande soprattutto innanzi al simbolo più familiare e più solenne di Madre Natura: l’Albero. Le immagini ci hanno dato spunti di riflessione condotte sulla constatazione di una volontà di progresso sempre incombente e la spinta della necessità – non più rinviabile – di conservazione della specie. Il passaggio da una natura matrigna, indifferente al destino dell’uomo a una natura che si offre come appiglio, in un contrasto forte tra convivenza forzata e inevitabile, come scrive la Belloni. Una riflessione davvero affascinante sulla bellezza e lo stupore ritrovato in un dettaglio, un angolo nascosto, di poco conto, un’idea di mondo in miniatura.
Cominciamo dal titolo del libro. Perché “Supernatura”, cosa vuole significare?
Il titolo è nato di getto, insieme alle prime immagini della serie: mi ha colpito subito infatti la potenza di una Natura che spesso non guardiamo più, ma che in qualche modo – pur sfruttata e maltrattata – ci domina insinuandosi anche negli spazi che le abbiamo sottratto, le nostre città o le nostre case. Ho cercato di sottolineare questa forza proprio partendo dal quotidiano, senza prendere spunto dalla grandezza in un certo senso “scontata” della natura dei grandi parchi o delle riserve naturali. Certo, esiste una manifestazione potente dell’ambiente naturale che a volte ci lascia a bocca aperta: di recente, per esempio, ho fatto un viaggio in Islanda, in un anno particolare e quindi non affollato di turisti, e ho incontrato una natura da togliere il fiato, di una grandiosità e superiorità indiscutibile, che sembrava sbatterci in faccia quanto siamo piccoli al confronto. Ma ho preferito parlare di una Supernatura meno sfacciata, di quella presente nelle piccole cose.
Le immagini di questo lavoro fotografico, in un certo senso, rimandano all’opera di Joseph Conrad Cuore di tenebra, in cui il vecchio marinaio Marlow parte da Londra e a Londra ritorna, con la consapevolezza che il vero “cuore di tenebra” è la bruttura di una società occidentale, logorata dall’avidità, lontana dallo stato di natura. Nel tuo testo parli di aver scoperto qualche lampo di vera connessione tra uomo e natura, cosa sempre più rara, all’interno di una convivenza necessaria, quasi a voler sancire o ufficializzare una sorta di compromesso tra esseri umani e ambiente naturale. È così? Cosa pensi a tal proposito?
Sì, è così, il compromesso sarà inevitabile se vogliamo continuare a sopravvivere: proprio in questi giorni se ne discute tra i grandi politici della terra, che forse per la prima volta sembrano prendere sul serio la questione; ma al di là delle grandi politiche internazionali, mi interessa parlare anche della presa di coscienza personale nei confronti dell’ambiente che ci circonda – e che può rappresentare poi un sentire universale – che viviamo quando ci si rispecchia in un corso d’acqua, si accarezza una pianta, si osserva un animale bellissimo.
In questo lavoro la Natura è una grande protagonista, pervade i soggetti non solo dall’esterno ma anche dall’interno, nell’animo. Lo si intuisce, o almeno è questa la percezione, dai riflessi, dalle silhouette di corpi vagamente accennati o dai volti che non si mostrano mai e che qui ritroviamo ricoperti da fiori, foglie e vegetazione, avvolti come in una sorta di timore riverenziale, all’insegna di una visione che non vuole essere antropocentrica. Cosa può cogliere e cosa può costruire questa rappresentazione?
Direi che hai colto lo spirito delle immagini, mi fa piacere che passi l’idea dell’essere umano molto presente, ma non ben definito, che cerca una specie di simbiosi, se possibile, con la natura, in uno scambio continuo di prospettiva, dove spesso prevale però lo stupore e la sospensione, esattamente il contrario della visione antropocentrica che spesso ci contraddistingue.
La Natura ti sottomette a un fascino incontenibile e, a un certo punto, scrivi che ti lascia il permesso di sognare a voce alta. Oltre al sogno, all’immaginazione, cosa c’è dietro a queste immagini?
Si tratta proprio dello stupore di cui parlavo prima, del desiderio di connessione con l’ambiente naturale che l’uomo moderno ha colpevolmente dimenticato o sottovalutato; inoltre queste immagini, soprattutto quelle dalle quali è partita l’idea del lavoro, come ad esempio quella della camera da letto con i rami spogli delle piante che invadono la stanza, o quella della vecchia fiat abbandonata e ormai sommersa dai rovi, non sono state pensate a priori, non si tratta di staged photography, ma le ho semplicemente trovate, erano già lì. Poi ho chiesto agli amici che avevano a che fare con quei luoghi (la proprietaria della camera da letto e l’amico che viveva a 50 metri dall’auto abbandonata) di entrare a far parte dell’immagine, perchè era secondo me importante per spiegare il senso del lavoro, ma non ho costruito nulla a priori, o quasi.
Cosa ti ha portato a realizzare SUPERNATURA, quali sentimenti, pensieri, musica ti hanno assistito nella loro realizzazione? Da dove provengono queste visioni?
Qual è la tua posizione in relazione a ciò che hai fotografato?
Le visioni di “Supernatura” vengono da lontano, me ne sono resa conto riguardando casualmente alcune mie fotografie anche di 20 anni fa: la realizzazione magari è differente, ma lo spirito è lo stesso: mi interessa il non detto, non evidente, le immagini che si svelano poco a poco, i rimandi continui e talvolta sorprendenti, come avviene nelle fotografie di Friedlander, che mi hanno sempre affascinato, o in certa musica indipendente, dove sembra di individuare un percorso conosciuto, per poi scoprire un’altra direzione inattesa nel passaggio successivo. Mi piace l’idea di non spiegare nulla, ma di suggerire una via possibile, che ognuno possa personalizzare secondo il proprio sentire.
Immobile è il tempo che emerge in questi lavori fotografici, in cui la Natura sembra voler dire Guardami! Esisto da prima del tuo arrivo su questo pianeta. Anche se le piante dimostrano una capacità sotterranea, e non solo, di “fare rete” e quindi di muoversi che va ben oltre la loro natura che le vuole stabili, sedentarie. In alcuni scatti mi sembra di intravedere la volontà, inconscia o no, di porre l’uomo come spettatore dinanzi alla voce di una natura, in fondo, da sempre onnipresente e onnipotente “Sono io che ti autorizzo ad entrare!” Luigi Ghirri nel suo libro Lezioni di fotografia scriveva “La fotografia rappresenta sempre meno un processo di tipo conoscitivo che offre delle risposte, ma rimane un linguaggio per porre delle domande sul mondo… Ho percorso esattamente questo itinerario, relazionandomi con il mondo esterno, con la convinzione di non trovare mai una soluzione alle domande, ma con l’intenzione di continuare a porne. Perché questa mi sembra già una forma di risposta.” A cosa vogliono condurre queste visioni, cosa vogliono offrire e quali domande intendono sollevare. Dunque, qual è il loro obiettivo?
Come dicevo e come ha spiegato perfettamente Ghirri nel suo saggio, la fotografia non offre risposte, suggerisce questioni o propone punti di vista alternativi, e questo dovrebbe essere lo scopo di ogni lavoro; inoltre il tema di “Supernatura” è particolarmente attuale, il rapporto dell’uomo con la natura è cambiato ed è diventato fondamentale soffermarci sul capire le conseguenze di questa distorsione e possibilmente cambiare rotta. A mio parere i lavori fotografici su questo argomento scottante non saranno mai troppi, il mio è un approccio diverso dal reportage di denuncia, ho cercato di portare il discorso su un altro piano, ma è comunque importante, credo, parlarne e mettere il rapporto uomo-natura al centro dei nostri interessi, prima che sia troppo tardi. Come anche tu accennavi prima, la natura insegna, gli alberi “fanno rete” tra di loro, ognuno ha bisogno del sostegno dell’altro…in fondo è un concetto semplice. Se invece vogliamo parlare anche solo della loro bellezza, allora sono infiniti i lavori fotografici con le piante come protagoniste: penso alle bellissime immagini degli anni ’30 di Albert Renger-Patzsch, o ancora prima alle foreste di Gustave Le-Gray di fine ‘800 o alle giungle di un secolo dopo di Thomas Struth. L’interesse per la natura è sempre stato centrale in fotografia, ora però è il momento di una riflessione ulteriore.
Come scrive in un libro recente, La vita delle piante, il filosofo Emanuele Coccia, le piante sono l’ornamento cosmico, l’accidente inessenziale e colorato, che domina ai margini del campo cognitivo. Le piante ci hanno preceduti, hanno aperto – e continuano a farlo perché obbediscono alle leggi universali della creazione – la strada agli altri organismi viventi. Tuttavia è come se non le vedessimo, poiché la gran parte dell’umanità vive oggi nelle grandi metropoli del Pianeta e le considera alla stregua di oggetti superflui della decorazione e dell’arredo urbano: aiuole, giardinetti, parchi. Le riconosciamo solo quando si trovano dentro i rari spazi verdi o nei negozi dei fiorai, quando dobbiamo ornare la nostra casa, un balcone o un tavolo. Eppure fiori e piante, hanno da sempre accompagnato la vita degli esseri umani dalla nascita alla morte. Cosa rappresenta per te la Natura?
Per me fiori e piante hanno sempre avuto un ruolo fondamentale, sto bene quando sono in contatto con il verde, un benessere fisico oltre che mentale e questi ultimi anni di pandemia e chiusure, quando soprattutto nei primi mesi siamo stati confinati in casa (io vivo in centro a Piacenza, senza giardino né terrazzo, né un parco nel quartiere), ciò che mi è mancato di più, dopo la vicinanza degli amici, è stata quella del verde e degli alberi: mi sono ancor più resa conto del fatto che sono di un’importanza vitale per me. Potrei fare a meno di tante tecnologie, ma non del contatto con la campagna o con il bosco, che vorrei in futuro frequentare sempre di più. Nel mio studio fotografico ho creato una piccola giungla, che in vetrina a volte quasi sovrasta le fotografie esposte, ma va bene così e non è una questione ornamentale, è una cosa che mi aiuta a lavorare e a respirare.
La Fotografia è un modo di vivere. In essa e attraverso la stessa prende forma la nostra vita affettiva e mentale, la formazione del nostro sguardo. La fotografia ridefinisce il nostro posto “nel mondo”, ci dice chi siamo, verso quale scopo dirigiamo le nostre energie, a cosa siamo ancorati. William Wordsworth definì “l’occhio corporeo” “il più dispotico dei nostri sensi”, ambivalente sul potere delle cose di disturbare, consapevole, nella sua giovinezza, di quanto la vista possa diventare accecata, anche dalla bellezza. Alla luce di quanto detto e con riferimento a SUPERNATURA, ti chiedo cosa è per te fotografia, cosa racconta, cosa descrive e cosa le manca. Dove risiede la sua forza, ma soprattutto, non credi che queste tue immagini siano in un certo senso “scomode” perchè mostrano qualcosa che non esiste o quello che dovrebbe essere, e mettano in luce la grande lacuna di questa civiltà occidentale che ha fin troppo depredato e le cui meraviglie sono frutto di una direzione colonialistica sulla natura?
Sono contenta che tu definisca le mie immagini “scomode”, perchè credo sia questo un po’ lo scopo di ogni ricerca fotografica, cioè come dicevamo, creare domane, far sorgere dubbi, far vedere cose che non esistono, o a volte anche essere piccoli elementi di disturbo. Le immagini di SUPERNATURA sono state esposte quest’anno a Fotografia Europea a Reggio Emilia proprio perché il tema era la Terra e il Sogno, cioè una riflessione su quello che è lo stato attuale delle cose e quello che dovrebbe essere. Ora sono esposte a Luzzara al Centro Culturale Zavattini (dove il 3 dicembre presenterò il libro) e sono contenta di portare in giro il mio lavoro, ma mi interessa anche ampliare il discorso, cioè anche andare oltre le fotografie e approfondire la riflessione sul nostro ruolo con la Natura, che è una Supernatura, e non dovremmo scordarlo.
Giusi Bonomo