“Sum sed quid sum”: Giorgio De Chirico alla GAM di Torino
Si è inaugurata il 18 aprile, la nuova mostra della GAM di Torino; nonché seconda grande esposizione sotto la completa direzione di Riccardo Passoni, già vicedirettore durante il mandato di Carolyn Christov-Bakargiev, ora al timone del solo Castello di Rivoli. Al primo piano della escheriana palazzina di via Magenta, costruita da Carlo Bassi negli anni Cinquanta, è stata allestita una accattivante occasione artistica intitolata “GIORGIO DE CHIRICO, RITORNO AL FUTURO – Neometafisica e Arte Contemporanea”. Ad accogliere i visitatori c’è un grande Orfeo trovatore stanco, dipinto da De Chirico nel 1970: un personaggio iconico, sconsolato e desolante, quattro e novecentesco insieme, pensoso di quei pensieri ontologici che solo De Chirico sapeva far palpitare attraverso le tele. Accanto all’Orfeo, altrettanto mesto, ecco Il pensatore del ’73 che rimugina esibendo al pubblico un biglietto di carta sul quale si è appuntato la domanda delle domande: sum sed quid sum? Io sono qualcosa, ma che cosa? Chi siamo noi? Chi scegliamo di essere? Che ruolo vogliamo occupare in un mondo che non è per come appare? Questioni, queste, che ritornano ad essere attuali in ogni epoca e che brillano di una luce solenne e opaca attraverso le pennellate del maestro. In realtà, volendo essere pungenti, per gli avventori abituali dell’arte forse non c’è molto di accattivante in un artista che tutti conoscono e che molti di noi hanno già visto un po’ ovunque. De Chirico è affascinante, ma di sicuro non è un nome da riscoprire. Tuttavia, qua entra in gioco il talento di un brillante curatore che ha saputo attualizzarne i contenuti esponendo anche altri maestri che, dagli anni Sessanta a oggi, si sono ispirati (apertamente o meno) proprio alla metafisica per portare avanti le loro ricerche. La mente dietro questa collettiva diacronica è Lorenzo Canova. Romano, classe 1967, critico e storico dell’arte, professore all’Università degli studi del Molise e fondatore di Aratro, collezione e archivio d’arte contemporanea locati nell’Unimol. Canova ha scelto, in accordo con Passoni, di far dialogare il fondatore della metafisica con tanti di coloro che, a prescindere dall’eventuale ismo di appartenenza, hanno portato avanti una indagine vicina (o avvicinabile) al grande greco-italiano a cui è titolata la mostra. In questo senso, diventa interessante scoprire la neometafisica dechirichiana, ovvero quel periodo individuabile tra il ‘68 e il ‘78 in cui l’artista cita se stesso e durante il quale si sviluppano le espressioni artistiche che in lui individuano un antesignano a livello formale e contenutistico. E quindi, già dalla seconda sala, ci si può imbattere nelle suggestioni di Valerio Adami, Tano Festa, Mimmo Rotella, Mario Schifano e Ugo Nespolo. Ampi sono gli spazi dedicati al concettuale, alla pop art e all’arte povera: da Giulio Paolini a Claudio Parmiggiani per arrivare all’onnipresente e pluricelebrato Pistoletto. Non mancano poi gli inclassificabili, come Vettor Pisani. Lodevoli le scelte di riesumare un autoctono dimenticato (o forse mai abbastanza celebrato) come Ezio Gribaudo e di inserire una sezione fotografica che spazia dal lirismo laconico di Luigi Ghirri al realismo asfissiante di Gabriele Basilico. Particolarmente apprezzabile, infine, l’innesto dei giovanissimi come Francesco Vezzoli. Anche se, in realtà, De Chirico viene sospinto dal curatore a conversare anche con il passato: un breve segmento dell’esposizione è dedicato infatti al tema della copia e della riproducibilità attraverso la citazione michelangiolesca presente in alcuni quadri dello stesso De Chirico. Un circo un po’ didascalico, insomma. Sicuramente, però, l’idea è innovativa se calata nel contesto della GAM, che solo ultimamente sembra riscoprire la sua rilevanza sulla scena culturale internazionale. Se si pensa che qualche mese fa quelle stesse sale erano occupate dai Macchiaioli, questa mostra può essere considerata come un vero e proprio salto quantico volto alla futuribilità del museo e della città. Il curatore è stato capace di raccontare una storia avvincente sia per gli insiders, che magari si imbattono in un pezzo mai visto, sia per gli outsiders, che (ri)scoprono la trasversalità dell’arte.
La mostra, che è documentata in un catalogo ed. Gangemi con i testi critici di Canova e Passoni, sarà visitabile fino al 25 agosto di quest’anno, quando cederà il testimone (secondo alcune indiscrezioni dello stesso Passoni sul Corriere) a un Botticelli che, si spera, potrà essere altrettanto fruibile per un pubblico eterogeneo come quello che viene richiamato ora.
Davide Maria Azzarello