“Sulla cattiva strada”, dove tutti abbiamo un amore
Sara Benedetti, sceneggiatrice e autrice, ha pubblicato “Sulla cattiva strada” (nottetempo, pp. 317, euro 17), un romanzo di pura bellezza.
Nella Genova dei caruggi, in un arco di tempo che va dal 1988 al 2008 si snodano le storie di Tedesco, Pagano, Lord Jim, Morango, Ethan, Jamila, Lateef, Bruno, delle loro famiglie, o quel che ne resta, dei loro cani, le prostitute, gli immigrati. Tutti in cerca di fortuna, di soldi, di un modo per svoltare o anche solo arrancare. E spesso, la droga pare l’unica ad accettarti così come sei, così come nessuno ha fatto mai.
Anime crepate, come la terra quando non piove da mesi.
“Tu che farai da grande?” Gli chiese lei.
A tedesco sembrò una domanda strana, nei vicoli nessuno la faceva a nessuno, tanto meno a se stesso, perché nei vicoli lo sapevi già. Quello che facevi da piccolo – furti, rapine, spaccio – ma su larga scala, se eri in gamba.”
Collegio, poi comunità, poi carcere. Dentro e fuori, dentro e fuori, questa la carriera di chi nasce e cresce nei vicoli. A Genova c’è il mare e, come dice Lord Jim, il mare ricomincia sempre. Ma qui, insieme ai vicoli, sembra quasi retaggio, possibilità eppure incapacità di scappare per essere altro. E ci si resta in quei vicoli che cantava De André, pieni di tristezza. È la Genova malinconica, ma viva, reale. Una Genova che nell’arco temporale descritto cambia: cambiano gli abitanti dei caruggi con le ondate migratorie, gli accordi coi cinesi, il G8, il Ponte Morandi che crolla.
Un racconto dolce amaro, con personaggi a cui affezionarsi perché, sì rubano, spacciano, marcano il territorio, ma conservano tutti una loro umanità, fatta di senso del gruppo, aneddoti di chi cresce insieme e si guarda le spalle a vicenda, di chi impara a fare dell’ironia lo scudo più potente. Lontani dalla perfezione, e anche dalla morale, dalla giustizia se vogliamo. Ma hanno dentro quel buco nero, quella mancanza innata che provano a colmare come possono, arrabattandosi, scappando da Genova per poi tornare sempre, perché è un vuoto che forse solo la vicinanza di un posto che ti somiglia e persone che ti somigliano possono tentare di riempire.
E anche l’amore è forte, come ogni sentimento descritto in queste pagine, violento, non è mai pace. E quando si avvicina alla pace, diventa simile a delle briglie che non si vogliono. La paura del legame che ti fa venire i crampi allo stomaco, che diventa debolezza. Amori che si trovano e perdono in un’altalena perenne, che fanno fatica a restare, ad esser sani perché mischiati con la sopravvivenza di ogni giorno, coi conti in sospeso che si tentano di saldare anche facendosi del male. L’amore come insofferenza che nasce dall’essere incastrati in uno schema, in cui le promesse fatteci non sono state mantenute e noi non sappiamo mantenere le nostre.
“Sapeva che c’erano persone al mondo, e nei vicoli ce n’erano più che da altre parti, con un buco nero dentro. Un buco che ti nasceva nel cervello o nella pancia per le cose che avevi visto e che ti avevano fatto fin da quando eri piccolo. Ed era difficile tirarsene fuori, perché tutto quello che succedeva, anche di bello, finiva lì dentro, risucchiato da una forza sconosciuta, e scompariva. Tra le cose belle e le cose brutte no c’era differenza, venivano ingoiate e allargavano la voragine. Finiva che ti ritrovavi a Marassi solo per avere quattro pareti per mettessero confini a quel buco, due regole che dessero un senso alle giornate. O che la voragine ti chiamava a sé, come stava facendo con Pagano.”
Per quanti colpi possano andare a buon fine, per quanti soldi si possano fare, tutto ruota attorno a quello che non hai mai avuto, che nessuno ti ha spiegato come avere, rieccolo il buco nero, che ti fa arraffare quel che si può, perché nessuno ti regala niente.
Una storia che pare essere circolare e immutabile. Tedesco vede portare via Pagano ed Ethan, figlio di Pagano, vedrà portare via Tedesco.
Questo libro è tenerezza, dolore, rabbia, frustrazione, sorriso. È un miscuglio calibrato bene. È una meraviglia.
Ci sono punti in cui forse è troppo l’artificio per cercare la parola giusta, l’effetto giusto. Ma sono solo attimi quasi impercettibili. Le pagine scorrono veloci alla lettura, come la vita di chi queste pagine le anima, forse troppo veloce, senza lasciare il tempo di capire cosa ti resta tra le dita, di vederne solo i segni. Ma se hai conosciuto un solo modo di vivere, è possibile impararne un altro? Si vuole impararne un altri? Eccola tutta lì, la poesia del vivere.
“C’è amore un po’ per tutti e tutti quanti hanno un amore sulla cattiva strada”, cantava De André.
Laura Franchi