Stefano Bagnoli e il nuovo disco We Kids Quintet – L’intervista
Venerdì 18 settembre è uscito per Abeat Records “We Kids Quintet” il nuovo disco omonimo dell’ensemble fondato da Stefano Bagnoli. Il disco è composto da dieci tracce più una bonus track. Il progetto “We kids” si avvale ad ogni disco di una formazione diversa. Per questo nuovo lavoro discografico, oltre a Stefano Bagnoli alla batteria, hanno suonato: Giuseppe Vitale al pianoforte, Stefano Zambon al contrabbasso e i fratelli Giovanni e Matteo Cutello al sax e alla tromba. All’ascolto, “We Kids Quintet” si presenta come un lavoro dall’altissimo valore compositivo, tecnico ed interpretativo. Le tracce rappresentano un lavoro corale della formazione e, nonostante Stefano Bagnoli sia la regia di tutto il lavoro, gli altri quattro giovani compagni di viaggio esprimono al meglio le loro doti soliste. “We Kids Quintet” è sicuramente consigliato a chi il Jazz lo mastica bene e ha il giusto orecchio per apprezzarlo e capirlo, ma anche a chi si approccia all’ascolto non da purista del genere, grazie a quel processo di evoluzione sonora figlia dei giovani talenti che partecipano al progetto. Abbiamo fatto qualche domanda a Stefano Bagnoli per saperne di più.
Buongiorno Stefano, puoi parlarci del tuo progetto We Kids, che si rinnova ad ogni disco? È appena uscito il disco “We Kids Quintet”, ma intanto il 27 settembre sei stato in concerto con il We Kids Trio, che hai fondato ormai quasi dieci anni fa. Come nasce questo progetto?
Buongiorno, We Kids nasce nel 2012 con due ragazzi siciliani che nel frattempo si stanno affermando nell’ambiente jazzistico delle nuove generazioni (Francesco Patti e Giuseppe Cucchiara); dal 2017 il nuovo We Kids Trio è con Giuseppe Vitale e Stefano Zambon. Il 27 settembre scorso abbiamo presentato al Blue Note il cd “Dalì” prodotto da Paolo Fresu per la sua etichetta Tuk Music e nel frattempo è uscito il disco We Kids Quintet che di fatto è un’idea di Mario Caccia, il nostro produttore e patron della Abeat Records, il quale mi propose di partecipare al progetto discografico in veste di “padre” artistico dei ragazzi (i fratelli Matteo e Giovanni Cutello li conosco da quando avevano dieci anni e li ho tenuti a battesimo discograficamente unendomi al loro primo disco in veste di side man). La mia idea di formare We Kids nel 2012 parte da una lunga e meditata esigenza di avere un gruppo mio che non fosse tuttavia una comoda riunione di “big” che il più delle volte mi pare essere una mera azione commerciale sperando di vendere qualche disco in più grazie al nome famoso, ingenuità nella quale, peraltro, anch’io in epoca passata sono inciampato ideando progetti discografici che, a parte la bella musica suonata con colleghi meravigliosi, non mi ha portato a nulla in quanto leader. Così, maturando sia con l’età che con un’idea artistica più minuziosa, si concretizzò l’obiettivo di coinvolgere dei giovani sconosciuti e farli crescere musicalmente con me (e io con loro); essere una sorta di talent scout e avere intorno “figli” che crescono e successivamente partono per la loro strada è una condizione artistica e umana che mi soddisfa alla pari del girare l’Italia e il mondo con “big” come Paolo Fresu, Dado Moroni, Franco Ambrosetti e Paolo Jannacci.
Il nuovo disco We Kids Quintet contiene dieci tracce inedite più una bonus track, qual è stato il processo creativo di questo lavoro e il coinvolgimento dei fratelli Giovanni e Matteo Cutello?
Ognuno di noi ha scritto dei brani e in studio, il giorno stesso della registrazione, abbiamo selezionato quelli che abbiamo ritenuto avessero un filo conduttore stilistico adeguato al disco da plasmare. A volte non ci sono particolari necessità intellettuali o chissà quali altre difficoltà per la realizzazione di un disco e questo è ciò che è successo nella nostra performance, ma attenzione: non significa dare adito al triste luogo comune: “il jazz si improvvisa” intendendo che chi suona jazz fa due pernacchie sullo strumento e va tutto bene! Il jazz non si improvvisa per niente poichè è una lingua con una grammatica, un lessico, una sintassi, codici e regole che se non studi, assimili e metabolizzi non ti portano da nessuna parte! La facilità di entrare in studio di registrazione, scegliere i brani e suonarli direttamente e senza prove in un disco non è la gita in campagna con gli amici, ma il risultato di una comune conoscenza idiomatica che, con talento e perseveranza, si matura costantemente affinchè si possa dialogare in musica creando qualcosa di sensato. Questo è il jazz.
La copertina del disco mostra una passerella nello spazio, rappresenta l’immagine del percorso sonoro che si andrà ad ascoltare?
La cover è stata realizzata da Giuseppe Vitale che, oltre ad essere un talento sulla tastiera, è anche un bravo illustratore autodidatta. Il disegno evoca ciò che dici ma anche, dal mio punto di vista di “anziano” del gruppo, la strada che ognuno di noi percorre senza sapere dove e quando terminerà e che nei giovani può significare lotta e speranza senza le quali si vegeta, non si cresce.
Hai suonato con tantissimi artisti, qual è stato uno dei momenti più memorabili della tua carriera?
Suono dal 1978 quindi sono 42 anni che non sto fermo! Puoi immaginarti con quanti musicisti e gruppi diversi, anche stilisticamente, ho suonato e con ognuno di loro c’è stato il momento magico e irripetibile. Impossibile scegliere poichè da adolescente essere chiamato a suonare con il musicista “X” mi sembrava il massimo che la vita potesse offrirmi; poi cresci fai esperienza nel frattempo arriva il successivo musicista “X” che ti chiama e l’asticella si alza ed è così da 42 anni! Oggi, quando suono con qualche giovane, i ruoli sono ribaltati e tocca a me essere quello “famoso” che suona con il nuovo arrivato. La ruota gira ma io mi sento sempre il quindicenne del 1978 che ha una filosofia ben stampata in testa: “siam tutti bravi e nessuno indispensabile” quindi godiamoci la musica e il suonare insieme senza metterla giù dura cosicchè ogni giorno è un momento memorabile.
Sei figlio d’arte in una famiglia con il jazz nel sangue, è stato naturale per te avvicinarti alla musica e a intraprendere gli studi di batteria?
Con uno zio e un cugino sassofonisti e un padre e un altro cugino contrabbassisti direi che diventare a mia volta musicista jazz è stato istintivo e automatico. Ho avuto anch’io un passato da illustratore, altra dote che evidentemente ho nel dna avendo un altro zio disegnatore, il primo disegnatore di fumetti, già durante la seconda guerra mondiale, che insieme al suo amico Bonelli inventarono i fumetti in Italia.
Quale sogno ancora non hai realizzato?
Direi nessuno a parte essere costantemente work in progress per i futuri e inaspettati progetti musicali che riuscirò a realizzare grazie agli incontri che farò.
Hai in programma di fare altri concerti, anche con la formazione a cinque?
Tutto dipende da Mario Caccia in veste di produttore e manager del quintetto e da quali occasioni riusciremo a concretizzare, nel frattempo io porterò avanti per conto mio il We Kids Trio grazie anche all’aiuto di Vittorio Albani (manager di Paolo Fresu) il quale crede nel mio progetto con i giovani. Ognuno di noi cinque, come è prassi naturale per noi jazzisti, nel frattempo prosegue nella propria carriera suonando anche in altri gruppi poichè è solo così che l’esperienza di vita e di palco può farci incontrare ogni volta con un ingrediente nuovo utile a stimolare nuovi progetti.
Con quale artista, col quale non hai ancora lavorato, ti piacerebbe collaborare?
Louis Armstrong e Oscar Peterson, ma ahimè rimane un sogno! Penso anche che un giorno riuscirò a formare una dixieland band con musicisti giovani e moderni con i quali poter divulgare i grandi classici del jazz originale allontanandomi da quel sapore di naftalina che purtroppo il dixieland si porta dietro suo malgrado, spesso causato dagli stessi musicisti che lo suonano mummificando, con una visuale ristretta e snob, uno stile che dovrebbe essere divulgato come forma d’arte e non come complemento pittoresco da intrattenimento.
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