“SOTTO SOTTO, UN CUORE DI CANE” – AL PICCOLO TEATRO DI MILANO, IN SCENA IL ROMANZO DI BULGAKOV
Racconto di fantascienza e satira politico-sociale – quasi trattato antropologico sull’inevitabile fallimento di qualsiasi rivoluzione o trasformazione imposta dall’alto – sogno di onnipotenza che presto precipita in un incubo distopico, “Cuore di cane” di Michail Bulgakov trova ancora oggi più che mai motivazione di essere letto e raccontato. Con sincera ed attenta adesione allo spirito del testo originale, Stefano Massini ne ha tratto una libera versione teatrale affidata alla regia di Giorgio Sangati, ed ora tra le produzioni di punta di questa stagione del Piccolo Teatro di Milano (in scena al Grassi di Via Rovello fino al 10 marzo 2019).
La scenadi Marco Sbicca fa del palco immagine fisica di una suddivisione gerarchica: se la parte superiore è laboratorio scientifico e sala operatoria, via cittadina e appartamento moscovita (roccaforte dei privilegi che il dottore si tiene stretto) di ricchezza inaudita per la Russia stalinista regolata dalla Nuova Politica Economica, il sottopalco si fa fogna, luogo dei vagabondi e della povertà più nera, gabbia della Cavia, che lì si agita paurosamente nei primi secondi dello spettacolo. Se l’incipit del romanzo dà voce e parole al Cane, qui abbiamo rumori cupi e ferrosi che nulla di buono fanno presagire. In un contesto tratteggiato con elementi essenziali, nell’atmosfera elettrica e metallica del laboratorio/sala operatoria, il Professor Preobražénskij (Trasfigurazione – nome parlante – interpretato da Sandro Lombardi), affiancato dall’eterno assistente Bormental’ (Giovanni Franzoni) annuncia al mondo la sua fondamentale scoperta: nel trapianto di ipofisi sta il segreto dell’eterna giovinezza. Via libera dunque alla sperimentazione su un animale. La cavia sarà Pallino (Paolo Pierobon), un vecchio cane trovato per strada, arruffato e bruciacchiato dal tremendo scherzo di un garzone. Nel lasso di tempo di un assurdo intervento l’ipofisi umana viene trapiantata nel corpo canino, ed ecco l’imprevisto, il cane progressivamente si umanizza. Il Professore fiuta l’eccezionalità della scoperta e dell’affare e, sognando il successo all’Esposizione Universale, decide di educare il fu Pallino, nuovo Homunculus, alle regole della vita civile. Le loro dita quasi si sfiorano, come nella Creazione michelangiolesca. Presto però il Creatore perde il controllo della sua Creatura, novello Adamo. Occorreva stare più attenti al donatore della ghiandola.
La drammaturgia di Massini interviene sul romanzo di uno scrittore che era stato anche medico esaltandone proprio l’aspetto di trattato anatomo-fisiologico, diario clinico su cui viene annotata ogni tappa dell’esperimento e della metamorfosi dell’animale. Squarci di questa narrazione scientifica fanno da cornice a scene dal ritmo ora concitato, ora dilatato sul filo della tensione: la tensione elettrica subita ed accumulata da un animale, sollevato scenicamente dalla sua gabbia sul letto operatorio per diventare uomo senza volerlo, creazione unica nel suo genere, ma indottrinato con la violenza ad essere uguale a tutti gli altri uomini, che impara le sue lezioni fin troppo in fretta, per poi ritorcerle contro il padre-padrone. A cosa serve la libertà, se bisogna continuare a piegare il muso, se la più grande delle verità è che “l’uomo, anche il più libero, un padrone l’ha sempre avuto: la società!”. Io ti ho elevato! – Urla il professore a Pallino. Ah, mi hai elevato! E chi te l’ha chiesto? Risponde il fu cavia, ora cittadino Poligraf Poligrafovic Pallinov, in cui sotto sotto rimane sempre un cuore di cane, il seme di una vita perduta. Le falle che provocheranno lo snaturamento degli obiettivi della Rivoluzione Russa sono già lucidamente presenti nel romanzo di Bulgakov, scritto nel 1925, censurato con divieto di pubblicazione (circolato prima clandestinamente in tutta Europa, sarà stampato in Russia per la prima volta nel 1987) .
Funziona benissimo il gruppo di interpreti: Lorenzo Demaria (il Commissario del Popolo, irreprensibile), Lucia Marinsalta e Bruna Rossi (rispettivamente la cameriera Zina Prokof’evna e la cuoca Darj’a Petrovna, che costellano soprattutto il secondo atto, tenendo testa a Pallinov in serratissime schermaglie; Giovanni Franzoni, divertito nel giocare abilmente col suo personaggio, braccio destro del Professore, severo e irreprensibile, che passa da punzecchiatore a punzecchiato nel confronto con il Cane; Sandro Lombardi, che fa vivere il suo esaltato Preobražénskij in equilibrio sul grottesco, nella voce acuta di scienziato alla ricerca della scoperta scientifica del secolo, e d’altro canto terribilmente infastidito dalla rivoluzione sociale in corso. Paolo Pierobon è infine Pallino/Pallinov in una stupenda prova d’attore. La trasformazione del bastardino in uomo diventa evoluzione fisica e linguistica scena per scena (valorizzando la traccia drammaturgica portante della riflessione sul valore della lingua stessa nel definire la natura umana). Il ringhiare e guaire del cane diventa borbottio di suoni masticati e a malapena intellegibili dell’homunculus in gabbia; la ripetizione meccanica diventa poi padronanza, ed insieme all’arroganza rabbiosa del Cittadino Pallinov esplode la parola impugnata come arma a doppio taglio, senza fiato. Una creazione accidentale e senza controllo, che instilla il dubbio nello scienziato: ma chi di noi è creato per un fine? Chi di noi non è solo e soltanto un accidente?
Come la scrittura di Bulgakov, uno spettacolo fatto di “ironia irresistibile e rabbia disperata”(citando Massini stesso). Non sei uomo se provochi la risata altrui? E allora il Cane ride, ride, e ride ancora.
Mariangela Berardi