“Soraya Experience” di Martina Zaccaro al Teatro Bolivar di Napoli
C’è ancora bisogno di parlare di femminismo, condizione della donna e femminicidio nell’anno del signore 2023? Evidentemente sì, se una donna muore per aver indossato male un velo, un’altra viene ricercata per aver fatto una scelta d’amore lasciando il proprio figlio, e l’aborto in alcuni paesi è considerato illegale, addirittura immorale. Oggi più che mai abbiamo bisogno di manifestare il nostro dissenso, la voglia di rispetto e inclusione. La volontà che i diritti di tutti siano rispettati e messi al primo posto affinché nessuno domani possa sentirsi superiore o anche solo diverso e migliore di qualcun altro. Sono una donna dovremmo dirlo tutti, perché tutti domani potremmo essere Soraya, la duplice protagonista che la regista e attrice Martina Zaccaro porta in scena con Claudia Cimmino al teatro Bolivar di Napoli.
Uno spettacolo dove due donne, una napoletana e una iraniana, sono lo specchio una dell’altra. Epoche diverse, momenti storici altri, luoghi lontani e condizioni di partenza sfalsate potrebbero fare pensare a due storie che non si trovano mai, eppure seduto in prima fila ho come l’impressione che siano una coscienza dell’altra, il sogno di riscatto di lei, la voglia di rivalsa di una giovane, il bisogno innato di essere se stessi a accettati a prescindere. Due racconti di vita che si alternano e poi si ritrovano, si scontrano, provano a trovarsi , a scambiarsi emozioni e cicatrici, odori e dolori. Le luci giocano con le attrici sul palco facendo risaltare di volta in volta l’una o l’altra, tagliano intere sezioni mettendo in primo piano chi parla, si muove o immobile guarda, chiusa in quattro mura.
Le differenze uniscono, rendono simili le storie e le sofferenze. Martina Zaccaro, Soraya napoletana, innamorata dell’uomo sbagliato, donna dello spettacolo, si muove tra la danza e il canto, tra un trucco e una parrucca, è un personaggio dirompente, leggero e ironico che racconta le grandi verità della vita con il sorriso. Si lascia andare a confessioni d’amore, scende tra il pubblico, balla, dedica canzoni, canta e si traveste. Dieci, cento, mille Martina, lei con gli occhi suoi, lei con gli occhi di Ciro, lei vista da noi, il pubblico che vuole solo divertirsi, non pensare, costretto invece a riflettere. Claudia Cimmino, Soraya iraniana, costretta al matrimonio, vestita da sposa, chiusa in una gabbia, una prigione non solo mentale. Carismatica nel suo muoversi lento, nello sguardo fragile, nella sua ricerca d’aiuto, nella forza del sorriso. Non può ballare, non può studiare, non può lavorare, è colpevole di non poter aver figli. L’amore, se sei una donna, non è mai facile, a Teheran come a Napoli. La condizione, le umiliazioni e la violenza sono la normalità.
“Soraya Experience” è una donna iraniana che si ritrova napoletana e viceversa, sono una sola persona, perché l’esperienza è la stessa. Ballano, senza saperlo fare, si truccano, come atto di presenza nel momento, cantano per non avere padroni, o almeno così pare. È una lotta, quella di Soraya, contro ogni tipo di sopruso, contro ogni convenzione, ogni paletto inflitto e da infliggere. Le due donne si lasciano andare per ritrovarsi fuori dagli schemi imposti, senza più tempo, senza distanze che tengano, libere almeno per un attimo. Quell’attimo eterno e infinito in cui tutto pare possibile, anche togliersi il velo, posare il microfono, abbassare i toni, spegnere le luci e cantare “Malafemmina”, che se avessimo fatto a un altro quello che hanno fatto noi, forse st’ommo t’avesse acciso.
Antonio Conte