“Sopravvissuta a un gulag cinese”: la testimonianza di Gulbahar Haitiwaji
Chi sono gli Uiguri? Dov’è lo Xinjiang? Esistono ancora i campi di rieducazione? È solo grazie al racconto dettagliato e a tratti incredibile che Gulbahar Haitiwaji ci porta a viaggiare con la mente oltre una cortina di filo spinato dove si nasconde l’inverosimile.
“Ho scritto ciò che ho vissuto. L’atroce realtà. Le donne come me, uscite dai campi, non sono più quelle di prima.”
Gli Uiguri sono un’etnia turcofona di religione islamica che vive nel nord-ovest della Cina, soprattutto nella regione autonoma dello Xinjiang. Insieme ai cinesi Han gli Uiguri costituiscono la maggioranza relativa della popolazione della regione (46%) e formano uno dei 57 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti in Cina. Nei loro confronti, la Repubblica Popolare Cinese sta perseguendo una politica che ha portato oltre un milione di musulmani a essere detenuti in campi di rieducazione senza alcun procedimento legale nei loro confronti.
Gulbahar è nata in una famiglia di uiguri insediata nello Xinjiang da generazioni ed è la prima sopravvissuta ai campi di rieducazione cinesi a testimoniare. Un testimonianza agghiacciante, tetra e che a tratti sembra fuoriuscire dall’oblio in cui è sprofondata la sua esistenza. Condannata a sette anni in un campo di rieducazione, semplicemente per aver scattato una foto alla figlia durante una manifestazione degli Uiguri a Parigi, dove viveva in esilio da dieci anni, al termine di un processo durato nove minuti e che si è tenuto dopo un anno di detenzione, senza l’ombra di un giudice né di un avvocato, l’autrice oltre al dramma della prigionia ci racconta da vicino la sua terra natìa e la capitale Urumqui.
“…brulicava di studenti di ingegneria appena laureati, di famiglie han emigrate dall’Est, di lavoratori kazaki venuti a sfruttare pezzi di terra nella regione. In centro città sorgevano torri di uffici e centri commerciali che superavano in altezza le moschee. Le società petrolifere assumevano continuamente sia Uiguri che Han.”
Accusata di celare posizioni indipendentiste e attività terroristiche dietro il suo esilio francese, Gulbahar viene convocata in patria con l’inganno, per sbrigare alcune pratiche amministrative. Da qui inizia l’inferno della rieducazione forzata, centinaia di ore di interrogatorio, tortura fisica e psicologica, malnutrizione, sporcizia, sterilizzazione, e altre atrocità che vanno oltre i confini dell’immaginazione.
“Ci hanno chiesto di rinnegare quello che eravamo. Quelle come me, che escono, non sanno più chi sono. Siamo delle ombre, anime morte. Mi hanno fatto credere che i miei erano dei terroristi. Ero così lontana, così sola, così spossata e alienata che ho quasi finito per crederci. Kerim, marito mio, Gulhumar, Gulnigar, figlie mie, ho denunciato i vostri “crimini”. Ho chiesto perdono al Partito Comunista per atti atroci che né voi né io abbiamo mai commesso. Rimpiango tutto quello che ho detto e che vi ha infangato. Oggi sono viva e voglio gridare la verità. Non so se voi mi riconoscerete, non so se voi mi perdonerete.”
“Sopravvissuta a un gulag cinese. La prima testimonianza di una donna uigura” di Gulbahar Haitiwaji, scritto con Rozenn Morgat (add Editore, 2021, pp. 240, euro 18, nella traduzione di Sara Prencipe) è un libro toccante e forte, a tratti folle se non fosse che si tratta di una storia vera che accomuna centinaia di migliaia di prigionieri, ancora oggi detenuti nei campi di rieducazione di quella che si appresta a diventare la principale economia del pianeta, la Cina moderna.
Salvatore Di Noia