“Sogno di una notte di mezza estate” di Andrea Chiodi al Teatro Sociale. L’amore, il sogno, l’infanzia, il gioco
Andrea Chiodi affronta ancora una volta un testo di William Shakespeare, portando in scena al Teatro Sociale di Como “Sogno di una notte di mezza estate”. Ai temi classici della commedia si sommano argomenti dovuti alla personale visione del regista, vale a dire l’infanzia e il gioco.
La traduzione e l’adattamento è di Angela Dematté, che ha trasformato il testo seguendo la propria libera interpretazione: sono state aggiunte delle scene, per lo più canti di filastrocche per bambini da parte di una fata, mentre altre sono state tagliate. Le battute dei personaggi sono prosastiche, ma sono numerose le rime, soprattutto baciate, che conferiscono al testo il sapore della poesia. La compagnia teatrale, che Chiodi ha immaginato come dei giovinastri scapestrati, si concede qualche espressione giovanile e delle battute in inglese moderno tipiche dei giovani. Molte esilaranti interventi comici sono stati aggiunti, seppure in armonia con la visione originale del Bardo, per personalizzare ulteriormente il testo.
Il ruolo dei personaggi è definito dai costumi realizzati da Ilaria Ariemme. Teseo (Igor Horvat) e Ippolita (Anahì Traversi) vestono di nero, mentre i loro alter ego Oberon e Titania indossano ampie gonne di tulle rosa carne. La simmetria delle due coppie è svelata in scena quando i signori delle fate si tolgono le corna animalesche per vestire i panni dei monarchi di Atene. Nella storia di questa commedia Puck (Beatrice Verzotti) è stato rappresentato nei modi più svariati; questa volta era stranamente una donna, che indossava un vestito nero, lo stesso portato quando l’attrice recitava nei panni di Filostrato. Sul palco era presente una sola fata, Emilia Tiburzi, immaginata come una bambina che canta filastrocche infantili. Le due coppie di innamorati sonno state interpretate da attori giovanissimi, molti dei quali alla prima prova importante; i loro nomi sono Alberto Marcello, Sebastian Luque Herrera, Caterina Filograno, Giulia Heathfield Di Renzi. Prima che il dilemma amoroso venga risolto indossano dei vestiti bianchi, allo scioglimento della narrazione e al termine del sogno indosseranno dei vestiti neri come Teseo e Ippolita. La compagnia di attori nella scena di metateatro (Jonathan Lazzini, Alfonso De Vreese, Marco Mavaracchio, Alberto Pirazzini) è responsabile dell’esplosione della comicità finale, in cui Andrea Chiodi si è concesso un maggior margine di libera interpretazione.
La vicenda non si svolge in un bosco: Guido Buganza ha ricreato sul palcoscenico un parchetto di periferia con uno scivolo e una giostrina. Il regno del sogno è il mondo dell’infanzia e del gioco, immerso in un fondale nero come la notte. Ritornando bambini si libera l’inconscio e la pulsione sessuale, ma non solo: in una battuta estranea al testo originale gli attori rivelano che, per recitare, è necessario appellarsi all’inconscio. Anche il teatro dunque diventa un sogno, lo spettacolo ci sta implicitamente invitando a sognare.
La recitazione vuole trasmettere le passioni più travolgenti: gli attori infatti si rincorrono, urlano, si schiaffeggiano, si prendono in braccio, si afferrano l’un l’altro, si abbracciano, si baciano… Come può l’amore essere manifestato senza coinvolgere le sensazioni più passionali? Anche gli attori della compagnia teatrale, in seguito all’inesperienza, interpretano maldestramente i propri ruoli per l’emozione di trovarsi sul palco.
Andrea Chiodi è un regista eclettico, che sa conferire ad ogni sua rappresentazione un’impronta inconfondibile. La scelta del Teatro Sociale di includerlo in cartellone è stata ottima.
Valeria Vite
Fotografia di Studio Pagi