“Skianto” – Filippo Timi al Bellini di Napoli
“Fenomenali poteri cosmici, in minuscoli spazi vitali…”
Mai nessuna gabbia è stata così dorata, convincente, calda e accogliente come il Teatro Bellini di Napoli in queste sere. Serate strambe dove sul palco accade di tutto. Come astronauti sulla luna, ci muoviamo danzando nell’atmosfera e, come supereroi americani, spacchiamo tutto perché da qualche parte la nostra energia deve pur convogliare. Colpa e merito di una attore straordinario, esplosivo, coinvolgente e trascinatore di folle come Filippo Timi che a Napoli avevamo incontrato già altre volte con Favola, Don Giovanni e Casa di Bambole.
Questa volta porta in scena – fino al 1 dicembre – uno spettacolo in dialetto umbro che lo vede coinvolto in prima persona, un monologo in due parti dove dà sfogo e voce a un bambino diversamente abile nato “con la scatola cranica sigillata”. L’interno della sua mente è l’ambiente in cui si muove l’attore accompagnato da un pianista, Salvatore Langella che, per tutta o quasi la durata dello spettacolo, avrà una testa enorme, come un personaggio uscito dalla favola di Alice nel paese delle meraviglie. Il racconto è ambientato su quell’isola interna che sono gli occhi del ragazzino. Una palestra, che ricorda quella delle scuole elementari di noi adulti cresciuti negli anni 80, dove accadono cose e fatti che raccontano la vita del protagonista. C’è una sovrabbondanza di elementi scenici e una quantità incredibile di input che ci lasciano immaginare la complessità del pensiero umano dove le situazioni e i sentimenti si accavallano, si sovrappongono a creare un tappeto immaginifico dove il ragazzino Filippo Timi si muove, scalcia come un unicorno, pattina al ritmo di balletti russi e danza come Heather Parisi. Ancora gli anni 80 che tornano. La storia ha uno spazio temporale ben preciso. Ci ritroviamo così davanti a una televisione a guardare Bim Bum Bam e sognare di essere Antony, meglio ancora Terence, che poi il biondino fa una brutta fine. A tirare pugni come Hulk e a grugnire perché nessuno ci capisce. Con Timi sulla scena la disabilità non è più un tabù, non è più un limite perché la mente non ha confini, non ha barriere. Se è vero che tutti gli uomini sono isole, in queste sere questi scogli un po troppo cresciuti sono vicini, hanno dei ponti per attraversare e superare gli ostacoli. Ci ritroviamo tutti insieme a guardare il mondo con gli occhi di questo Pinocchio contemporaneo che quando si ritrova a parlare con la fatina, sempre un istrionico e potentissimo Timi che richiama la Marchesini, che si rifà alla Lollobrigida, che interpreta la fata dai capelli turchini, chiede solo di poter essere umano o al massimo un burattino di legno, che già sarebbe una grande cosa.
Come quando nella mente di John Malkovich guardiamo attraverso di lui il mondo che ci circonda, così osserviamo adesso le reazioni delle persone, dei parenti e degli amici verso un bambino con evidenti problemi che vorrebbe una vita normale, che ha sogni e desideri come tutti e che guarda gli altri relazionarsi a lui. Scopriamo come siamo buffi e strani in situazioni complicate, quando non sappiamo come comportarci e l’unica strada da percorrere dovrebbe essere la semplicità e l’accettazione delle diversità perché si annullino. Alle volte ciò che troviamo diverso nell’altro, ciò che ci mette a disagio, è quella distanza che ci separa e ci scopre soli, quei pochi metri simbolici che Timi, in pigiama di flanella a pallini, ci porta a superare scherzando e mangiando pappe assurde che nemmeno ci piacciono ma che non possiamo rifiutare, perché nessuno ci capisce. Ridiamo di un sorriso handicappato, perché normale a noi proprio non ci viene, e ci ritroviamo tutti un po diversi e per questo più simili di quanto pensavamo quando chi prima o chi dopo, chi per un motivo o chi per un altro si scontra con la realtà. Che tanto, lo sanno tutti che la volpe e il gatto sono Franco e Ciccio.
Antonio Conte