“SI NOTA ALL’IMBRUNIRE” CON SILVIO ORLANDO AL PICCOLO TEATRO GRASSI
Silvio Orlando recita le parole di Lucia Calamaro, che lo dirige anche, e calza perfettamente i panni di Silvio, per l’appunto, un tenero vedovo che da qualche anno ha trovato la pace in una casa isolata di provincia. La sua voce esce dalle casse, quotidiana, fluida, naturale e lui diventa improvvisamente il papà di tutti. Tra lamenti nei confronti dei figli ospiti per qualche giorno e rotture di quarta parete (in cui addirittura si parla della regista e del Teatro Grassi) presenta i suoi migliori amici: i libri e la musica classica.
È un uomo che ha rinunciato alla vita sociale e deciso di concedersi la gioia più grande di tutte: stare seduto. Uno alla volta, i figli (Riccardo Goretti, Alice Redini, Maria Laura Rondanini) e il fratello (Roberto Nobile) di passaggio in occasione del compleanno di Silvio e della commemorazione dei dieci anni dalla morte della moglie, snocciolano drammi e confusioni, che tanto disturbano l’eremitico padrone di casa. Esasperato dalle fisse, dai fallimenti, ma soprattutto dal vociare degli ospiti, ne sente la mancanza quando lui si sveglia prima di loro: “quando ne ho bisogno non ci sono mai”. Come accade anche nella tradizione molieriana il protagonista è bloccato su un’anomalia, continuamente sottolineata, che lo porta a non essere contento di nulla, rendendosi insopportabile al prossimo. È tuttavia consapevole di essere incapace di ricambiare l’affetto. La lucidità finisce laddove non si accorge della differenza fra il pensiero e la verbalizzazione, crede di dire delle parole che, in effetti, pensa solamente. Gli anni di solitudine lo hanno portato a dissociarsi dalla realtà oggettiva. Sebbene i figli e il fratello vogliano schiodarlo da questa situazione, sembrerebbero contagiati anch’essi da qualche forma di allucinazione che li tiene bloccati, ognuno a suo modo, nella stagnazione. Sono inconcludenti, frustrati. Ma il comune obiettivo di smuovere un Silvio che non vuole la canzone d’auguri al momento delle candeline, consente dei ponti verso il cambiamento, di cui fieramente Silvio fa un commovente reportage nella cerimonia della moglie. In cui tutto sembra essersi dissolto. Come ad acuire il distacco fra mondo interiore e realtà.
Il linguaggio verboso e ridondante che scorre nelle due ore di spettacolo, e la recitazione quasi senza oscillazioni, creano nello spettatore il desiderio di uscire dallo stagno. E se nelle nostre vite siamo “seduti”, vien voglia di “alzarsi”.
In scena al Piccolo Teatro Grassi di Milano fino al 31 marzo 2019.
I.R.