“Sfregi” di Nicola Samorì in mostra a Palazzo Fava di Bologna
Resta poco tempo – fino al 25 luglio – per poter visitare “Sfregi”, la prima mostra antologica in Italia – dopo il successo a livello internazionale – di Nicola Samorì, classe 1977, a Palazzo Fava di Bologna, curata da Alberto Zanchetta e Chiara Stefani. E, se potete, andateci, perché le sue opere vi resteranno addosso, vi impressioneranno, forse vi lacereranno, ma di sicuro ve ne innamorerete. Ottanta opere tra pittura e scultura che lo stesso artista ha progettato per lo stile rinascimentale delle sale del Palazzo delle Esposizioni di Genus Bonaniae e che ci avvolgeranno attraverso tutta quello che è stata la sua produzione degli ultimi vent’anni.
Le opere si appropriano dell’arte del passato occidentale per rimodellarsi e rinascere nuove tra le mani di Samorì e per questo, durante il percorso, ci troviamo innanzi ad alcune opere delle collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Carisbo, tra cui la Maddalena Penitente di Canova, i ritratti di Annibale Carracci e le opere di Giuseppe Maria Crespi. Forme che l’artista vuol mettere in pericolo, che sono state scorticate e ridotte a brandelli, disfacendosi o sovrapponendosi senza continuità e sacrificando quell’idea antica da cui avevano preso vita. Ripete i processi e stratifica le sue opere Samorì, calcando le crepe, sdoppiandone e triplicandone i contenuti, fino a sciogliere le figure.
Ci incantiamo e devastiamo nella sala dove al centro biancheggia la Maddalena Penitente di Canova, dallo sguardo basso e addolorato, nel cui contorno si trovano figure tumefatte e lacerate con lo sguardo al cielo in estasi o spaventate. Accecanti le rappresentazioni di Santa Lucia a cui si dedica Samorì nel suo percorso artistico. Qui due opere, una dipinta e l’altra scolpita, si guardano senza potersi vedere. Ma nel dipinto lo sguardo nasconde degli innesti – al posto degli occhi – di due geodi di onice, la bellezza a creare il buio. I lavori di Samorì sono sempre un continuo divenire, a legare un’opera all’altra, sventrandole e ricucendole di continuo, dove la nascita di qualcosa crea sempre la morte di ciò che l’ha preceduta.
Marianna Zito