“Sfacelo” – Il classico della fantascienza di Barjavel
Esce in traduzione italiana integrale Ravage, “Sfacelo”, (traduzione di Claudia Romagnuolo e Anna Scarpelli, L’Orma Editore, pp. 279, euro 21) una delle opere più note di René Barjavel, ultimata in uno degli anni più drammatici della guerra, che ha lasciato non poche impronte nel romanzo. Barjavel è considerato il padre della fantascienza francese moderna, e non a caso il volume era già uscito in traduzione parziale nel 1957 presso «Urania», la mitica collana di fantascienza di Mondadori, col titolo Diluvio di fuoco. Oltre che scrittore e giornalista, Barjavel (1911-1985) era anche studioso delle forme cinematografiche e sceneggiatore, e come tale ha firmato, ad esempio, alcuni film della fortunata serie di Don Camillo. I suoi romanzi risentono in effetti di questa esperienza, e numerose scene di “Sfacelo” ricordano, se non hanno addirittura ispirato, scene analoghe di Playtime o Minority Report per la prima parte, e della Guerra dei mondi o The Day After per la seconda.
Il romanzo si apre sullo sfondo di una Parigi irriconoscibile e ultramoderna: i vecchi quartieri sono svaniti, l’esistenza è completamente automatizzata, la natura è scomparsa e ogni cosa viene prodotta industrialmente, cominciando dalla carne, che ora tutti potranno mangiare perché non è di provenienza animale. I mezzi di locomozione sono ultraveloci, e puoi andare dall’altra parte del mondo in giornata e poi tornare a casa in tempo per la cena. Tutto viene costruito col plastec pressofuso, il materiale che ha sostituito vetro, legno, acciaio e cemento. Con esso si costruiscono anche le moderne statue semianimate, e attraverso il plastec translucido il corpo e le sue funzioni possono essere riprodotte con estremo realismo. Le macchine si muovono invece con la quintessenza (apprezzabile l’ironia che sottende la scelta del termine), una miscela che sostituisce i vecchi carburanti. Essa tuttavia si infiamma più facilmente, e avrà un ruolo di primo piano nello svolgimento del racconto. Un’altra modernizzazione che avrà un impatto sconvolgente sarà il Conservatorio, una moderna versione del culto dei Lari. Nel Conservatorio “vivono” gli antenati, ibernati ma vestiti di tutto punto e raffigurati nelle pose domestiche abituali. Sorprendentemente, le moderne mostre itineranti dei Body Worlds, coi cadaveri raffigurati nelle pose dei viventi grazie alla plastinazione, sembrano già prefigurate da Barjavel.
In questa Parigi allucinante si svolge la lotta fra Jerôme Seita, ricco proprietario di Radio-300, e il giovane e squattrinato aspirante ingegnere chimico François Deschamps, per la conquista del cuore di Blanche Rouger, aspirante diva dello spettacolo. Seita ha buon gioco nel promettere un avvenire radioso alla giovane Blanche, che accetta di fidanzarsi con lui, lasciando François a meditare vendetta. Ma qualche divinità deve avere avuto pietà di lui, perché il giorno del debutto di Blanche non solo Parigi, ma il mondo intero, rimane senza elettricità, per una improvvisa e inspiegabile defaillance di una delle forze fondamentali, l’elettromagnetismo. Parigi, completamente al buio e con ogni tipo di servizio bloccato, diventa preda del caos. Le porte non si aprono, le macchine si fermano, gli aerei superveloci cadono distruggendo persone e cose. Anche qui Barjavel ha anticipato le bombe alla grafite usate dalla Nato contro Belgrado, che mettevano in ginocchio la città intera, ospedali compresi. In questo caos, dove si propaga rapidamente l’opera degli sciacalli e la lotta di tutti contro tutti, François riesce a strappare Blanche dalle mani di Jerôme e a portarla in salvo verso la sua casa di campagna, non senza ulteriori traversie e ostacoli insormontabili. Alle sue spalle, infatti, Parigi brucia, perché un solo mozzicone di sigaretta è riuscito a incendiare la quintessenza fuoriuscita dalle macchine ferme, e il fuoco è diventato un torrente inarrestabile, provocando l’esodo di massa dei cittadini. Parallelamente, ad aumentare il caos, i corpi congelati dei parenti defunti, che ammontano a settanta milioni di unità, per mancanza di elettricità escono dall’ibernazione e cominciano a sciogliersi, e i liquidi della putrefazione oltrepassano la soglie dei Conservatori, colano dai palazzi e invadono le strade. Non mi dilungo oltre nella descrizione di questi scenari apocalittici, che occupano con dovizia di avventure e colpi di scena la seconda parte del romanzo, e passo al finale, che vede i sopravvissuti mettere in piedi una società agricola sotto la guida del patriarca François e della moglie Blanche. In questa società, che sembra avere Rousseau e l’Emilio come modelli, la maggior parte dei libri sono giudicati inutili e le macchine sono bandite, perché trasformano l’uomo in un essere incapace di autonomia. Tuttavia, giunto all’età di centoventinove anni, François. morirà per mano del giovane e immemore inventore di una nuova macchina. Le macchine, sembra dire il romanzo, sono la prova che la rovina dell’uomo è inscritta da sempre nel suo corredo genetico. E questo, di nuovo, è il prologo di Odissea nello spazio.
Luciano Albanese