“SENZA FAMIGLIA” CON IL MULINO DI AMLETO A CAMPO TEATRALE DI MILANO
Il nuovo lavoro della compagnia Il Mulino di Amleto porta la firma di Magdalena Barile e ha il titolo “Senza famiglia”. Lo spettacolo, finalista al Premio Scenario 2017, è andato in scena dal 26 febbraio al 3 marzo a Campo Teatrale di Milano.
Di famiglia si parla, ma di quel tipo in cui il filo che unisce è quello dell’incomprensione, in cui l’inquietudine e sogni sbiaditi sono i motori malfunzionanti di un intero nucleo. La famiglia quindi, a partire da un leader assoluto, rivoluzionario e ribelle, la nonna col caschetto argenteo (un eccellente Angelo Maria Tronca), che ha avuto l’onere di allevare una figlia (Barbara Mazzi) sottomessa e che fa da serva, senza fiatare, al marito (Francesco Gargiulo) e ai figli già grandi (Alba Maria Porto e Christian Di Filippo) e che si reputa incapace di essere altro. La (presunta) morte della nonna fa confessare a sua figlia ciò che vorrebbe avere più di ogni altra cosa al mondo: che la madre sia orgogliosa di lei. Questo proposito diventa così il pretesto per la nonna di impartire lezioni di emancipazione, di portare la figlia a una propria consapevolezza e identità, di renderla simile a lei.
“Ogni vera ribellione nasce con un no, ogni vera ribellione nasce dall’interno.”
Il resto della famiglia intanto si estranea e ogni componente si rinchiude nella propria dimensione di inquietudine: la figlia che si taglierebbe la testa, il figlio che si sente donna e il padre che dedica le sue attenzioni alla pesca. Nessuno aiuta nessuno, ogni personaggio sembra parlare una lingua che gli altri non capiscono. Tra una scena e l’altra emerge il rumore, forte, di un’interferenza, quel rumore che si sente quando si cerca una frequenza radio e non la si trova.
Un testo forte, a tratti divertente, ma spietatamente crudele, in cui la regia di Marco Lorenzi arriva diretta al pubblico palesando da subito i rapporti distaccati e non comunicanti all’interno della famiglia in questione, i dialoghi si svolgono senza guardarsi, gli attori, tutti notevoli, si rivolgono solo al pubblico, non c’è tra loro un’intesa. I costumi, tutti di colore nero, denotano un “lutto” simbolico, che forse è anche indicativo del loro disagio interiore, dell’abisso in cui ogni personaggio sprofonda inesorabilmente. Un’ora e venti di assoluta attenzione e coinvolgimento, in cui appare lampante quanto sia azzeccato il titolo “Senza famiglia” e quanto possa essere attuale e fonte di riflessione. Un nuovo ottimo lavoro de Il Mulino di Amleto.
Roberta Usardi