“Senza Barbari, cosa sarà di noi?” – La lezione magistrale di Ivano Dionigi
La lezione magistrale di Ivano Dionigi pone un tema esiziale al giorno d’oggi: l’immigrazione di persone, di popoli che si spostano da altri continenti, il più vicino a noi l’Africa, e la paura che incutono senza interrogarsi sulle condizioni in cui vivono, le loro narrazioni, le storie personali fatte anche di sevizie e di attacchi alla dignità della persona.
Ivano Dionigi è professore di Lingua e Letteratura latina presso l’Università di Bologna e direttore del Centro Studi “La permanenza del Classico”. Recentemente ha lavorato sulla fortuna dei classici nella letteratura e nella cultura italiana moderna e contemporanea, fornendo anche traduzioni d’autore, in particolare di Lucrezio e di Seneca. Tra le sue pubblicazioni: Quando la vita ti viene a trovare (Roma-Bari 2018); Osa sapere (Milano 2019). La sua lezione magistrale “Senza barbari, cosa sarà di noi?” è stata collocata all’interno della pista “Diritti delle persone”. Il professore con una chiarezza e un piglio davvero potente ha iniziato la sua trattazione, affermando che noi non siamo in un’epoca di cambiamento, ma in un cambiamento d’epoca. Alle parole uniche e immodificabili come, ad esempio, il padre o la madre, dobbiamo aggiungere alcuni sconfinamenti come l’immigrazione e le reti informatiche. Bisogna allora avere il coraggio di cambiare e dire con Spinoza che si deve cogliere il dentro delle cose e non piangere in presenza di un abbandono di una sicurezza nel contesto. Soprattutto, allo stesso modo di Heiddeger, diviene più importante interrogarsi, farsi delle domande, piuttosto che rispondere a uno stato di fatto. Il notum non basta più, serve il novum. Il Prof. continua attraverso una metafora, dicendo che è successo come se Prometeo fosse cresciuto più di noi. Più che alla politica meglio ricorrere al pensiero. Una sorta di nuovo Umanesimo, che non riguarda certo quello indicato dal nuovo governo perché questo non guarda nel reale e non riuscirà di certo a cogliere né la sintesi di quanto sta avvenendo e neppure la metamorfosi. Agostino, va avanti nel discorso il Prof. Dionigi, parlava del grido del pensiero. Ma oggi purtroppo il pensiero non grida più!
Gli immigrati sono in cerca di quella giustizia che abbiamo cancellato con il lessico quotidiano. Sarebbe necessario osservare come sia la geografia sia la demografia cambiano. L’occidente ha una gran paura del suo tramonto, perché rispetto ai numeri in tema di figli da parte delle altre Nazioni, se guardiamo solo all’Italia, in comparazione nasce solo un mezzo bambino. Il Prof. Dionigi ci porta una narrazione che riguarda la madre di Hobbes che per la sua paura ritrovò non solo a partorire in anticipo, ma soprattutto due gemelli. Le contraddizioni della paura!
Cosa dice a tal proposito il Petrarca? Bisogna avere lo sguardo sempre sia avanti sia indietro, perché tra un secolo l’Europa potrebbe anche non esistere più. Gli immigrati saranno anche barbari, ma sono giovani. Una soluzione potrebbe essere quella di ispirarsi alla Pentecoste: quel giorno tutti si capivano, pur parlando lingue diverse. Ogni persona lontana o vicina a noi ha il suo logos la sua parola, e se ci mettiamo davanti il prefisso dia- diventa dia-logos, un dialogo che non rappresenta un accordo al ribasso, un “accordicchio”. Tutti abbiamo un Koinos-logos, una condivisione della parola. Come ha affermato anche Massimo Recalcati, nella sua lezione magistrale, “L’alternativa Babele”, ossia il contrario del Koinos. A proposito degli immigrati, noi pretendiamo che essi imparino la nostra lingua. E noi cosa dovremmo fare? Dobbiamo ricordarci che la lingua è l’identità della persona e il negarlo, secondo il Prof. Dionigi, è un crimine contro l’umanità. Non si intende che noi dobbiamo espropriarci del nostro patrimonio. Guai se questo avvenisse. Chi converge l’attenzione solo sul presente non vive, bisogna conoscere anche il passato ma poi andare nel futuro. In riferimento alla Lingua latina, essa è stata la lingua di tante persone nel corso dei secoli ed è come la madre, la mater certa. La lingua latina, infatti, è stata usata per 25 secoli, non creando mai differenze tra le persone. A tal proposito, il motto scelto dalla Comunità Europea è “In Varietate Concordia”, che significa la lingua si impernia nella cultura del rispetto e della condivisione. Nell’anno 40 dopo Cristo, Tacito racconta di una discussione che si svolgeva in Senato riguardo ad alcuni Seggi che sarebbero toccati a dei rappresentanti di popoli stranieri i cui territori erano stati occupati dai Romani. L’idea encomiabile era di “trasferire a Roma quello che di eccellente era presente altrove”. Non importa chi fossero, ma erano un apporto di novità, di forza vitale. La discussione sortì l’effetto di includere i nuovi Senatori e in tal modo hanno evitato di continuare a ripetere: “Quei seggi toccano a noi”.La motivazione che era stata caldeggiata, per far comprendere la portata storica del Novum, era che L’impero Romano durava da molti secoli, al contrario di Sparta e Atene, che avendo estromesso dal governo i cosiddetti barbari, avevano avuto una durata di pochi secoli. Gli Hostis sareb ro dovuti essere dei Civis. Già Romolo, con l’Auxilium, aveva voluto mescolare il sangue e la stirpe. I primi Re di Roma furono, infatti, Sabini, Romani, Etruschi… Anche Caracalla ha dato la cittadinanza a molte popolazioni. Il ragionamento era et… et…, ossia l’inclusione, non per la pietà e per la carità, ma fondamentalmente per la politica. Bisogna dire con grande chiarezza che i numeri primi sono quelli che sanno stare per secondi.
Livio Andronico afferma, con precisione di idee, che i Romani, quando annettevano delle popolazioni avevano il rispetto di quattro virtù (virtus):
- Virtus culturale
- Virtus politica
- Virtus linguistica
- Virtus religiosa.
I Romani, infatti, non hanno mai creato i barbari. Sono stati, al contrario, i Greci che, pur considerandosi come uomini liberi, sottomettevano gli altri popoli, trattandoli come barbari. Non a caso nella lingua greca i barbari avevano il genere neutro, dunque né maschile né femminile, potremmo dire senza alcuna dignità di uomini. Per i Romani il nemico, il rifugiato, il clandestino era l’hospes, l’ospite. Anche Seneca riporta in uno scritto “Discursus formicacum” che non c’è una città senza immigrati. Perché non ci si dovrebbe spostare da una paese all’altro? Alle nostre estremità non ci sono radici ma due piedi! Già dai tempi antichi era ben chiaro che bisognava porgere la mano al naufrago e anche dividere il pane con l’affamato.
Come si interroga sempre Seneca: Chi è stato il fondatore di Roma? Un esule, Enea, una persona che veniva dal mare. La profezia di Anchise (Tacito e Livio).
L’Imperium e la pax appartengono a Roma. Ovunque siano andati i Romani hanno costruito ponti, acquedotti, strade, anfiteatri. Goethe al suo Marc’Aurelio gli fa dire che è vero che ha studiato nella Lingua Greca, ma soprattutto ha amministrato nella Lingua latina. Certo che la real politique dell’Impero Romano è stata anche contestata da Calcago, capo dei Caledoni, affermando che sul principio della Pax Romana: Depredare è Imperium? Imperium e Pax sono soli. Anche i Libanesi dissero a Condoliza Rice: “Avete occupato il deserto e questa è per voi la pace?” In tempi recenti, riguardo a questa modalità del popolo romano, Simone Veil afferma che Hitler si è ispirato a tali tematiche. Possiamo ritrovare quanto detto alle radici di ogni dittatura. Accanto all’utopia, continua il Prof. Dionigi, c’è la Storia: Nulla Salus in Bello. Anche noi siamo tra l’utopia e la storia. Al bivio oggi non c’è nessuna segnaletica. Chiediamoci il perché oggi ci comportiamo così male. Noi, gli adulti di oggi, più di aver dato, abbiamo preso. Abbiamo il mondo dei giovano a cui pensare. Oggi dobbiamo osare con fiducia. In fondo siamo passati attraverso due rivoluzioni: quella illuministica e quella cristiana. Pertanto possiamo diventare fratelli non tanto civis (un residente forestiero). Interessante è quanto raccontato nell’Eneide a proposito di Didone che regnava a Cartagine. In pochi della nave di Enea arrivarono a nuoto e, come una odierna edizione, chi fece naufragio non venne salvato. Il motivo era che li avevano considerati dei barbari. Non li avevano guardati da vicino. Tutto fu chiarito più tardi, quando si dette ascolto alla storia di quei naufraghi.
Non ci resta che ascoltare le narrazioni delle persone che arrivano su un barchino o un barcone, pensando che raggiungere il Novum non è il segno del tempo di oggi, ma di eventi già avvenuti nel passato storico.
Salvatore Sasso