“Sedecim”: il nuovo presente di un EP registrato 16 anni fa – Intervista al chitarrista e compositore Gianluca Russo
Lo scorso 16 febbraio è uscito “Sedecim” il primo EP da solista del chitarrista e compositore Gianluca Russo. L’EP contiene quattro brani strumentali registrati nel 2005, ma mai pubblicati, per un cambio artistico radicale dell’artista. Per saperne di più gli abbiamo fatto qualche domanda.
“Sedecim”, il tuo primo EP da solista, racchiude quattro brani registrati nel 2005, mai pubblicati perché hai poi scelto una strada artistica diversa. Cosa ti ha portato a pubblicarlo ora, sedici anni più tardi (e anche qui ritorna il titolo…)?
Terminate le registrazioni seguì un momento di grande entusiasmo, accompagnato dai consensi di amici e colleghi. Come puoi immaginare, da giovani è facile cadere in sciocche fragilità che oggi vedo come un percorso necessario alla maturazione. Bloccai tutto il progetto per un solo parere negativo, da parte di un musicista di cui avevo stima. Probabilmente era in buona fede, qualcuno dice di no, fatto sta che fermai il progetto e mi dedicai esclusivamente al mio lavoro da interprete e didatta. Negli ultimi sedici anni ho goduto di bellissime esperienze con la musica e non rimpiango nulla. Ho terminato i miei studi in Conservatorio, suonato in Italia e nel mondo ma non ho più scritto nulla o quasi… Ogni tanto arrivava qualche idea che annotavo ma lasciavo con solerzia in fase embrionale. Dal 2019 queste bozze iniziano a prendere forma e decido di lanciarmi in una pubblicazione, in sincerità, senza troppa convinzione. In Gennaio, in piena pandemia, mentre ero al telefono con la mia compagna, frugando distrattamente tra i miei dischi, trovo quasi nascosto quello che sarebbe diventato Sedecim. Lo ascolto (con Irene al telefono) e rimango positivamente colpito. Decido di pubblicarlo come preludio del lavoro che conto di far uscire presto e che ha risentito al meglio di questa scoperta. Mi sento come se questa ellissi temporale abbia chiuso un cerchio. Ho accolto nuovamente con me molte delle idee su cui stavo lavorando allora. In questa rinascita non c’è patogenesi.
Che effetto ti fa ascoltare questi brani ad anni di distanza, come ti senti oggi rispetto ad allora a livello chitarristico?
È come ritrovare una strada persa nella memoria ma che riconosco in itinere. Riportarlo alla luce è stata un’esperienza incredibile, non ascolto il disco da allora. Oggi ha quasi il fascino dell’antico, che supera aspettative e l’ordinario. Non sento più il conflitto con l’ambizione.
I titoli dei brani sono tutti numeri romani, come mai questa scelta? Li hai rinominati o li avevi chiamati già così nel 2005?
Ricordare il titolo di qualsiasi brano strumentale è sempre stato uno dei miei limiti. Per necessità, dunque, ho sempre apprezzato la numerazione adottata per la musica di un tempo, lineare e senza accanimenti descrittivi. Di fatto, esiste un’altra ragione. Nel 2005 abbandonai queste tracce senza attribuire loro un nome, solo sigle di riferimento, non sense. Il numero romano e il latino consistono però in una scelta attuale e puramente concettuale: il latino è una lingua che non esiste più, eppure la sua radice è viva in buona parte delle lingue europee. In un certo senso Sedecim è una parte di me che ho voluto eclissare. Naturalmente, quella parte c’è sempre stata, ha solo atteso nel silenzio l’occasione di riemergere.
La copertina di “Sedecim” cosa rappresenta per te?
È un’opera di Kristo Neziraj che ho commissionato per questa pubblicazione. Sedecim è un lavoro giovanile (avevo 25 anni), ancora legato all’imitazione di un modello, nella fattispecie Brett Garsed, Greg Howe, Steve Vai, Steve Morse, i chitarristi che ho ascoltato di più nei primi anni di formazione. La figura di quell’uomo riporta dunque a un ideale classico che volge al termine, guarda al futuro e si smaterializza. Mi riporta ad oggi. Anche l’ordine dei brani segue una sorta di evoluzione verso canoni estetici più vicini alla sperimentazione.
Nell’EP ci sono due special guests: Brett Garsed e Derek Sherinian, come nacque la collaborazione con loro?
Ho avuto l’onore di accompagnare Brett per alcuni eventi in Italia, nel 2003. Fu allora che gli chiesi di partecipare alle registrazioni e si mostrò subito felice. Come sai non se ne fece nulla. L’ho ricontattato la sera di quella fantomatica telefonata ed ha risposto entusiasta al mattino dopo. È stato gentilissimo, tanto da registrare un video della performance che pubblicherò a breve in una video intervista a cura del fantastico chitarrista Gianluigi Giordano che ha anche pensato alla finalizzazione di Sedecim. In un certo senso è lui il produttore esecutivo. Derek è stato come una doccia fredda. Lo adoro dai tempi del liceo e ho consumato tutti i suoi dischi da solista (in cui, tra l’altro suona spesso Brett). Caso vuole mi abbia contattato su Instagram per sapere se stavo registrando qualcosa, dunque gli ho fatto la proposta. Avrebbe dovuto registrare un solo ma alla fine il brano gli è piaciuto molto ed ha registrato sulla traccia completa. Inutile sottolineare quanto sia stato prezioso, in termini musicali, il loro contributo. Naturalmente devo assolutamente citare Lucrezio de Seta e Pierpaolo Ranieri che hanno suonato su tutto Sedecim e contribuito con la loro Arte ad un risultato che trovo impareggiabile.
Ora stai lavorando al progetto Caligari Überschall, in cosa consiste e quando uscirà il primo disco?
Caligari Überschall è il risultato di questi sedici anni di esposizione alla musica contemporanea, all’improvvisazione e al mio amore per l’elettronica. Oggi con Sedecim viene arricchito da un ulteriore “ritrovamento” intrapersonale.
Ci sarà un seguito a “Sedecim”?
Sedecim è già il seguito di un seguito. Faccio tesoro di questa scoperta ma sono felice di guardare oltre.
Con quale artista ti piacerebbe collaborare?
Con l’ospite batterista di Caligari Überschall ma per ora non posso svelarlo.
Che tipo di musica ascolti?
Sono talmente assorbito nell’ascolto da non fare più discernimento. Qualsiasi cosa arrivi è bene. Ultimamente ho scoperto Ariel Posen. Già da qualche anno pratico con il bottleneck che ritengo essere una risorsa espressiva che avvicini il mio strumento alla vocalità.
Roberta Usardi
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