“Se tutti i danesi fossero ebrei” di Evgenij A. Evtušenko
“Se tutti i danesi fossero ebrei, noi sapremmo cosa fare di loro”
Abbiamo tra le mani un libro prezioso, stampato su pagine azzurre, da Lamantica Edizioni. Si tratta di “Se tutti i danesi fossero ebrei” di Evgenij A. Evtušenko (1932-2017) poeta e docente di origine siberiana, un enfant prodige della letteratura russa, nell’inedita traduzione italiana di Evelina Pascucci, a cura di Lorenzo Gafforini e arricchito da un corposo saggio di Francesco De Napoli.
La storia ha inizio con la descrizione della prigionia della principessa danese Leonora Cristina “sfiorita e stremata nella sua gelida cella”, isolata dal resto del mondo e con amica una ratta a cui ha dato nome Principessa. La vicenda è narrata dalla stessa principessa all’interno di un diario. Ma la sua storia si intreccia con un’altra “in avanti di circa tre secoli”, sempre in Danimarca durante l’occupazione nazista, creando dei perfetti quadri a incastro: qui la protagonista è una giovane ebrea vittima dei soprusi.
“Se tutti i danesi fossero ebrei” è la pièce teatrale postuma di uno dei grandi della letteratura del Novecento, dallo spirito tormentato, che univa le espressioni artistiche alla vita sociale e culturale, inedita in quasi tutti i Paesi del mondo, salvo un accenno all’interno di una rivista russa del 1996. L’opera è composta da diciotto quadri e da una trama originale e dal forte impatto empatico nei confronti del lettore. È caratterizzata da continui mutamenti e colpi di scena “il che a prima vista sembrerebbe renderne complicato l’allestimento teatrale, senonché l’estrema semplicità della scenografia risolve agevolmente il problema”, come spiega De Napoli nella sua Introduzione. Evtušenko, il poeta del disgelo, compone egregiamente un testo del teatro dell’assurdo, a raccontare episodi della vita reale e “i misteri della condizione umana”.
Marianna Zito