“Se l’è cercata” – Tanti modi per morire da donna
“Poi è arrivato il giorno in cui ti ha uccisa…”
La casa editrice on-line Teomedia pubblica, nella Collana ISTANTANEA, una raccolta di tre racconti “Se l’è cercata” (2019, pp. 58, euro 4,99), curata da Cristiana Danila Formetta. Un titolo con parole sicuramente non nuove alle nostre orecchie, che provocano da sempre amarezza, nonostante la facilità con cui vengono pronunciate, solitamente da chi non ha mai capito che la morte, per mano altrui, non se la cerca nessuno.
Come ci ricorda Angela Azzaro, nella sua schietta introduzione, il femminicidio finalmente è riuscito, negli ultimi anni, a far parlare di sé. Ma in che modo? Siamo davvero in grado di superare quel gap culturale che non ci permette obiettivamente di giudicare o parlare dell’uccisione di una donna senza colpevolizzarla o sminuirla o continuare a vittimizzarla, senza pensare che non abbia già fatto lei da sola tutto questo prima di morire? Un’inutile abnegazione che prende vita dalle nostre radici, e forse il problema è proprio questo. Ci rimane sempre e solo in mano l’apparenza, la cornice, ci accontentiamo solo di toccarla, senza guardare bene l’immagine che custodisce, senza conoscere realmente ciò che accade o è accaduto.
“Non credo esista un modo migliore per ammazzare qualcuno.”
Alessandra Del Prete, Eliselle ed Eva Clesis ci narrano queste morti a 360 gradi, ne analizzano l’antefatto, il mentre e la fine; ci trasportano nel passato, nel presente e nel futuro: tutto cambia e resta sempre come prima, tutto cambia solo ricominciando da capo, estirpandole quelle radici e aspirando alla ricostruzione della Memoria Collettiva, come leggiamo nel secondo racconto “Roghi d’autunno”, scritto da Eliselle. Ci sono premonizioni, ci sono i lividi, fino ad arrivare a situazioni che fagocitano, continuamente giustificate ma sempre più distruttive, come quello che accade alla donna nel primo racconto, “Asia” di Alessandra Del Prete. Qual è il limite dell’amore? Dove è che finisce questo amore lasciando il posto all’ossessione?
“Ho compreso che ci sono donne che scelgono di vivere in schiavitù perché essere libere è molto difficile, e comporta scelte spesso scomode che richiedono dure decisioni e sacrifici definitivi: così non le giudico, mi limito a non condividere la loro volontà.”
Ed è proprio l’ossessione patologica a consentire di negare la realtà, come avviene nel terzo e ultimo racconto, “Un lavoro pulito” di Eva Clesis. Una colpa negata che, oltre a danneggiarne una di vita, annienta una famiglia, colpendone anche la parte innocente, i figli.
Marianna Zito