CON SARDEGNA TEATRO VA IN SCENA LA PAURA, QUELLA VERA
La stanza è piccola, angusta, quasi claustrofobica.
Il Tenente Alfani si ridesta da un dormiveglia tormentato e inizia a raccontare, con voce stentorea, la sua paura. Un angosciante, pietoso monologo, a tratti farfugliato, via via urlato. Narra l’inerzia della trincea in alta montagna, del freddo e degli stenti; cantilena “vigilanza incessante, nessuna ostilità”, mantra cui presumibilmente è stato condannato dal suo Generale; implora un sonno che non arriva, se non a intervalli e costellato da incubi; agogna il rischio in battaglia, l’adrenalina sul campo e strepita, delira, contro questo isolamento coatto, un subdolo sopravvivere; incespica, invoca un Dio che è altrove, sano e salvo; piange.
Lo spettatore diviene erede di questa schizofrenia, passa dalla curiosità all’immedesimazione. Non si rende conto dell’assenza di alcun suono, di quanto siano pochi e scarni gli oggetti intorno, dimentica l’assenza della luce del giorno e non rimpiange uno spazio più ampio.
Alfani siede e si rialza a più riprese dal suo giaciglio, una rete arrugginita e scalcinata, avvertiamo il suo dolore alla schiena, il gelo nelle ossa, la frustrazione del non (poter) fare, l’impotenza dell’inazione e della morte che non arriva, di un nemico invisibile che sappiamo alle porte. Un’angoscia ormai tutta nostra. Ad un tratto, gli spari. Alcune luci si accendono, il nemico si è ridestato. Un barlume di vitalità, una paradossale speranza; tragicomico l’ossimoro della vicenda, ciò che più andrebbe temuto si traveste da lieta novella, preferibile al disagio dell’indolenza. Alfani richiama i suoi uomini all’ordine e si trasforma: riacquista vitalità, l’inquietudine di pochi minuti prima lascia il posto all’imperatività, le spalle curve tornano sull’attenti, abbandona la ninna nanna lamentosa e inizia a dare comandi a passo di marcia. E qui lo spettatore – sebbene i suoi sensi gli dicano che in scena vi è un solo attore – conosce i soldati Visentini, Caletti, Maramotti, il Caporale Borga e sente che vi son toscani, sardi, napoletani e laziali. Li vede tutti, dal primo all’ultimo: chi tremebondo e rassegnato, chi un po’ sfacciato, a tratti vile mai supponente, chi ridanciano e goliardico a dispetto dell’inevitabile, chi nostalgico. E commovente. Inizia un meccanismo brutale e meccanico, la turnazione sulla postazione di vedetta. Non serpeggia più la paura, ma il terrore; il nemico va controllato e uno dopo l’altro i soldati vanno di guardia, uno dopo l’altro non tornano. Il cecchino dei “porci Croati!” è implacabile, spara a vista e non ne manca uno. Gli uomini di Alfani, e dentro di sé lui stesso, cadono, rievocando gli ultimi ricordi felici. Il Tenente non si arrende, sprona il manipolo restante, ormai in preda al panico, infonde un’animosità che lui stesso ha riacquistato e perso, mente sapendo di mentire. Umiliato, pervaso dal senso di colpa, sa che non gli è concesso venir meno al suo ruolo, è obbligato a condannare, costretto a mandare a morte. E si fa violento, e torbido, e assolutamente perdonabile. Finché tocca all’ultimo soldato, che rifiutando il comando conduce al colpo di scena finale, lasciandoci più attoniti e impotenti di quanto avremmo creduto.
Credo sia necessario un reale talento per impersonare così fedelmente uno spettro tanto variegato di emozioni tumultuose e altalenanti, per passare senza soluzione di continuità all’affanno schizoide alla (finta?) padronanza di sé, dal comandare al subire la morte con rassegnazione, passando per dieci, venti – ma potrebbero esser cento – ruoli. Un talento che certamente non manca al superbo Daniel Dwerryhouse, qui magistralmente diretto da Francesco Bonomo. Curioso come un Federico De Roberto mica qualsiasi, ben più celebre per i suoi Vicerè che per questo sublime poemetto del 1921 qui messo in scena, un De Roberto che mai aveva visto e vissuto una battaglia, sia stato in grado di metterci al corrente con così tanta tensione ed esattezza dell’assurdità e degli orrori della guerra.
Per Sardegna Teatro, al Teatro Massimo di Cagliari dal 22 al 25 Febbraio e all’Eliseo di Nuoro il 27 e il 28 Febbraio. Non mancate!
Giulia Langiu