“Saluterò di nuovo il sole”, un romanzo di formazione
“Saluterò di nuovo il sole” (NN Editore, pp. 224, euro 18) è il romanzo di esordio di Khashayar J. Khabushani. Nato in California nel 1992, ha trascorso l’infanzia in Iran prima di tornare negli Stati Uniti. Ha studiato Filosofia alla California State University per poi completare il suo percorso accademico con un MFA alla Columbia.
“Suo figlio minore si chiama come un re persiano, il primo e il migliore di tutti, per quanto io non mi sia mai sentito così, né potente, né importante come dovrebbe sentirsi un re. Anzi ogni volta che Baba dice il mio nome voglio solo scomparire, mi imbarazzo, mi viene vogli di nascondermi. Odio che il mio nome suoni così straniero e antico. È per questo che nessuno tranne Baba usa il mio vero nome. Ho detto a tutti di chiamarmi K, perché a differenza di Baba e Maman sono nato qui e voglio essere considerato un ragazzino di L.A., proprio come i miei fratelli, perché è quello che siamo”.
K ha nove anni e vive a Los Angeles con i genitori iraniani e i due fratelli maggiori, Shawn e Justin. Desidera solo diventare un vero american boy, con un nome facile da pronunciare e i vestiti giusti, mentre suo padre, Baba, non ha un lavoro, sperpera il denaro che la moglie porta a casa e accusa i figli di rinnegare il paese d’origine – un paese che loro non conoscono. Nonostante i limiti imposti da Baba, K è un figlio obbediente, eppure si sente sbagliato: vorrebbe essere forte e sicuro come Shawn e Justin, ma quando scopre di provare dei sentimenti per il suo amico Johnny non riesce a confidarsi nemmeno con loro. Finché un giorno tutto precipita: Baba rapisce i figli e li porta in Iran, mettendoli in contatto con un mondo di cui avevano solo sentito raccontare, e facendo vivere a K, in particolare, un’esperienza che detterà le sue scelte future. K e i suoi fratelli riusciranno a tornare in America dopo non molto tempo, crescendo lontani dal padre, trasformandosi e vedendo l’America trasformarsi, anche nei loro confronti, dopo l’11 settembre.
“Penso a chi dovrei diventare, da dove posso cominciare. Andre aveva detto di fare caso a quel che ho proprio davanti agli occhi. Quindi ci provo, fisso il soffitto finché sento il bruciore delle lacrime. Fammi vedere cos’ho davanti agli occhi, continuo a ripetere, una specie di preghiera”.
Questo è un delicato romanzo di formazione in cui K, crescendo e cambiando, affronta un viaggio pratico e metaforico verso di sé. K è omosessuale, musulmano, figlio di immigrati a metà tra due mondi, due culture: una che non conosce a fondo ma sa che gli appartiene, un’altra che vorrebbe fosse sua ma lo tiene in disparte. Khabushani ci fa riflettere su argomenti che non sono solo attuali, ma universali e di estremo peso.
K cerca di conoscersi e collocarsi come persona, barcamenandosi tra una madre che lo ama ma è spesso assente per lavoro, ma soprattutto per affermare la propria indipendenza: dal marito e da un Paese ormai distante. Un padre troppo rigido coi figli e poco con sé stesso, che passa da scatti di rabbia/violenza a eccessi di amore che sfociano in un altro tipo di violenza.
Il passaggio obbligato in Iran e l’11 settembre sono per K le ultime gocce che scavano definitivamente verso la ricerca della propria luce, del proprio sole.
L’Iran, per quanto affascinante, non è casa e allo stesso tempo è un passato da non cancellare. L’America, dopo il crollo delle Torri Gemelle, è una casa a metà, dove muoversi con circospezione, un Paese dove si chiedono minuti di silenzio, si fanno controlli prolungati del passaporto, ma non si chiede a K né ai suoi fratelli perché siano spariti per mesi, e dove?
Eppure K, ma la maggior parte dei personaggi del romanzo, come la madre, i fratelli, la zia materna sono estremamente positivi. Tacciono il proprio dolore, non per questo non soffrono, ma quella sofferenza la trasformano in azione pratica, in decisione e formazione della propria personalità.
“Questa volta decido io. E non me ne vado perché Baba sta tornando, me ne vado perché ho bisogno di capire qual è il posto per me. Quando era a New York mio padre ha avuto la possibilità di essere giovane e libero. Voglio sapere come ci si sente. Non solo per me, è una sensazione che voglio condividere, voglio vivere la mia giovinezza con chi mi starà accanto”.
Laura Franchi